Primo passo della renziana e dei componenti del Partito Democratico. Tutti gli altri si dicono pronti a mettere in pratica l'exit-strategy vista l'indisponibilità del senatore a lasciare la presidenza. Alfieri: "Abbiamo già consegnato le nostre dimissioni nelle mani della presidente del gruppo"
La vice-presidente della commissione Esteri del Senato, la renziana Laura Garavini, si è dimessa per sbloccare l’impasse legata alla presidenza di Vito Petrocelli, l’ex M5s che ha espresso in più occasioni posizioni filo-russe fino a essere espulso dal Movimento. E anche i membri del Partito Democratico hanno formalizzato il passo indietro, mentre lo hanno già annunciato quasi tutti gli altri gruppi. Oltre al M5s, sarebbero pronti anche i leghisti – compreso Matteo Salvini – e Adolfo Urso di Fratelli d’Italia, unico componente del partito nella commissione. Disponibili a lasciare la commissione anche i senatori di Forza Italia che formalizzeranno mercoledì il passo indietro. In fase di valutazione quelli del gruppo Misto e delle Autonomie.
Petrocelli ancora martedì mattina, arroccato sulla sua posizione, scriveva sui social: “Non mi dimetto perché sento di rappresentare la Costituzione e la volontà degli italiani”. Ma il Senato accelera e se non sarà lui a fare il primo passo per abbandonare la carica, la maggior parte dei senatori della commissione si dice pronta alle dimissioni di massa. Sul tavolo del presidente Maria Elisabetta Casellati, nei giorni scorsi, sono arrivate due lettere con l’obiettivo di uscire dalla palude, una dai membri della commissione Esteri e l’altra dal presidente della Commissione Affari europei. L’individuazione di un percorso possibile arriva però nel pomeriggio, alla fine di una lunga capigruppo e di una successiva riunione della Giunta del Regolamento.
Per poter intervenire, fanno sapere al termine della Giunta, servono fatti concreti. E a quanto si apprende, ci sarebbe già un tacito accordo per cavalcare le dimissioni in blocco della commissione non appena ci saranno. Tanto che sono già state delineate le tappe che porteranno all’azzeramento della commissione e di Petrocelli: una volta arrivate le dimissioni – per ora solo il senatore Emanuele Dessì del nuovo gruppo parlamentare Cal è contrario – i presidenti dei gruppi dovranno formalizzare l’intento di non sostituirli con colleghi di partito.
A questo punto la presidente Casellati e la Giunta per il regolamento, sarebbero disposti a sostenere lo scioglimento della commissione stessa per l’impossibilità di poter continuare a svolgere i suoi compiti, in un momento così delicato determinato dalla guerra in Ucraina. Subito dopo si procederà alla ricomposizione con la nomina di un nuovo presidente. La vicepresidente Garavini è stata la prima a muoversi formalizzando le sue dimissioni con “effetto immediato” in una lettera al capogruppo di Italia Viva, Davide Faraone, esprimendo “la mia indisponibilità a continuare a far parte della commissione”, finché “resta presieduta da chi non gode più della fiducia della maggior parte dei componenti”.
Il senatore Alessandro Alfieri, capogruppo del Pd in commissione Esteri, ha invece sottolineato che la “situazione è insostenibile” e “non si può permettere al senatore Petrocelli di promuovere una diplomazia parallela in completo disaccordo e in assenza di consultazione con gli altri commissari”. Per questo, come “componenti del Pd della Commissione abbiamo già consegnato le nostre dimissioni nelle mani della presidente del gruppo” Simona Malpezzi e sottolinea che “siamo pronti a muoverci in coordinamento con tutti gli altri gruppi in modo da risolvere in tempi brevissimi questa situazione non più tollerabile”.
Secondo quanto apprende l’Adnkronos da fonti parlamentari di Palazzo Madama, anche i membri M5S, dopo essere stati orientati a non presentarsi mercoledì, hanno deciso al termine dell’assemblea del gruppo a Palazzo Madama di adottare la linea comune delle dimissioni. La commissione è convocata alle 10 e questo irrita Fratelli d’Italia che accusa la maggioranza di essere “ambigua”: “A parole vuole le dimissioni – lamenta un comunicato del gruppo – ma nei fatti corre a garantire il numero e il funzionamento della Commissione stessa”.