Esplodono le proteste davanti alla Corte Suprema e in molte città americane. Esultano i conservatori, che per decenni hanno ostinatamente cercato di cancellare il diritto all’aborto. Esprimono la loro indignazione democratici e gruppi per i diritti delle donne. Discutono dei fondamenti giuridici della sentenza giuristi e avvocati. È un terremoto politico, sociale, culturale quello che si scatena negli Stati Uniti dopo la diffusione della bozza che la Corte sta preparando, e che ribalterebbe la Roe v. Wade, la sentenza che nel 1973 legalizzò l’aborto. Tra le domande che ci si fa, c’è ovviamente anche quella su chi abbia deciso di far uscire la bozza, e perché.

La sentenza era attesa per fine giugno. Farla trapelare con oltre un mese di anticipo è un fatto clamoroso, considerata l’assoluta segretezza che di solito circonda le sentenze della Corte fino alla loro pubblicazione. In queste ore si ripete che, per la prima volta nella storia americana, una sentenza viene diffusa prima dell’annuncio ufficiale. In realtà, non è proprio così. Proprio Roe v. Wade venne preannunciata con una copertina della rivista “Time”, poche ore prima della sua ufficializzazione. Ma si trattava, per l’appunto, di poche ore di anticipo, quando la sentenza era ormai definitiva. In questo caso, invece, si tratta di una bozza, soggetta a eventuali cambiamenti e ripensamenti. Dunque la domanda: “Perché farla uscire con questo anticipo?, ha sicuramente un senso.

Al momento, in mancanza di prove certe, è possibile fare solo delle ipotesi. Politico.com, che è venuto in possesso della bozza di 98 pagine e che l’ha pubblicata lunedì sera, dice che a consegnarla è stata persona “vicina alla Corte”. Secondo alcuni, il probabile autore della fuga di notizie sarebbe l’assistente legale di uno dei tre giudici liberal, che in questo modo spererebbe di provocare proteste e indignazione, costringendo dunque uno dei giudici conservatori a rivedere il suo voto. Potrebbe però essere vero anche l’esatto contrario. Uno dei cinque giudici conservatori non sarebbe così convinto del voto per cancellare la Roe v. Wade. Fare uscire la bozza di sentenza potrebbe dunque essere un modo per rendere irreversibile la decisione. Una bozza “autentica” ma non “definitiva” come fa sapere la Corte suprema.

Sono cinque i giudici che avrebbero votato a favore della cancellazione della Roe v. Wade: Clarence Thomas, Samuel Alito (che avrebbe redatto la sentenza), Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett (gli ultimi tre, nominati da Donald Trump). Contrari i tre liberal: Stephen Breyer, Sonia Sotomayor, Elena Kagan. Non è chiaro come abbia votato il presidente della Corte, John Roberts. Roberts, da sempre, è molto perplesso sull’opportunità che la Corte intervenga in casi che hanno a che fare con l’aborto e che rischiano di trascinare la Corte in scontri politici. Conservatore moderato (fu nominato da George W. Bush), Roberts aveva mostrato a novembre, nelle audizioni preliminari del caso, una posizione diversa rispetto agli altri. Propenso a dare ragione allo Stato del Mississippi, una delle parti in causa, senza però abbattere completamente l’architettura della Roe v. Wade. A giudicare dal voto finale, i suoi colleghi non lo hanno ascoltato e hanno scelto la strada più radicale. Cancellare la vecchia, storica sentenza.

Nella causa in corso, il Mississippi è stato per l’appunto citato dalla Jackson Women’s Health Organization, l’unica clinica per aborti rimasta nello Stato. Nel 2018 il Mississippi ha approvato una legge che vieta l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane (quindi prima delle 23/24 che sono previste dalla Roe v. Wade). Di qui, il ricorso alla Corte Suprema, che sembra però per l’appunto aver dato ragione al Mississippi. Quando la sentenza verrà annunciata, a fine giugno (ovviamente se sarà quella anticipata dalla bozza), almeno dieci Stati americani faranno scattare le cosiddette trigger laws, leggi che metteranno immediatamente fuori legge l’aborto (spesso, anche nei casi di incesto e stupro). L’aborto diventerà quindi di pertinenza degli Stati, e non sarà più regolato a livello federale. È stato calcolato che sono almeno 24 gli Stati che aboliranno il diritto all’aborto. Tra questi, praticamente tutto il Sud, buona parte del Midwest e della regione delle Grandi pianure.

Una prima enorme possibile conseguenza sociale della sentenza sarà dunque la spaccatura degli Stati Uniti in due parti. In una sarà possibile, per le donne, interrompere la gravidanza. Nell’altra, l’aborto sarà punito con la prigione. Gli Stati pro-choice, per esempio la California, si sono subito allertati, dopo la pubblicazione della bozza. Gavin Newsom, governatore della California, ha annunciato di voler proporre un emendamento che inserisca il diritto all’aborto nella Costituzione dello Stato. Proprio la California, per dimensioni, ricettività sanitaria, prossimità agli Stati che vieteranno l’aborto, è destinata a diventare una sorta di porto dove migliaia, probabilmente milioni di donne americane arriveranno per abortire. Uno studio del Guttmacher Institute mostra che le donne in età riproduttiva che potrebbero voler abortire in California sono circa 1 milione e 400 mila. Un aumento imponente di richieste, se si pensa che nel 2020 circa 7000 donne sono ricorse ai servizi abortivi di Planned Parenthood California. Il vero problema sarà però quello delle donne di reddito più basso, spesso molto giovani, spesso membri delle minoranze, che non avranno i mezzi finanziari per imbarcarsi in un viaggio di migliaia di chilometri per abortire. Per loro resterà l’alternativa tra una gravidanza non desiderata o il ricorso a strutture sanitarie illegali e pericolose.

“Non appena la sentenza sarà in vigore, assicureremo il diritto alla vita per i non nati”, ha annunciato la governatrice del South Dakota, la repubblicana Kristi Noem. Sono decine in queste ore le dichiarazioni e manifestazioni di entusiasmo da parte dei conservatori e dei religiosi americani. La (eventuale) sentenza della Corte Suprema è stata preparata da almeno 50 anni di lotte. Prima del caso Mississippi, la Corte aveva esaminato diversi altri ricorsi contro l’aborto: Webster v. Reproductive Health Services (1989), Planned Parenthood v. Casey (1992), Gonzales v. Carhart (2007). In tutti questi, il diritto all’aborto garantito dalla Roe V. Wade non era stato revocato, ma le cause avevano creato un clima culturale e politico favorevole a una revisione della vecchia sentenza. Nel frattempo, per decenni, gli Stati a guida repubblicana votavano misure, cavilli legali, obblighi sanitari, che rendevano di fatto impossibile fornire servizi di aborto per le cliniche private. Negli ultimi anni le Assemblee legislativa dei vari Stati repubblicani si erano fatte sempre più audaci. Il Texas ha votato recentemente una legge che vieta l’aborto dopo le sei settimane, quando molte donne non sanno nemmeno di essere incinte.

I sentimenti più diffusi in campo progressista sono invece di delusione, rabbia, profondo sconforto. Nancy Pelosi, la speaker della Camera, ha parlato della probabile sentenza della Corte come di un “abominio”. Cecile Richards, che è stata presidente di Planned Parenthood dal 2006 al 2018, ha detto che “in questo Paese le donne non sono più al sicuro”. Ha parlato anche Joe Biden, che ha invitato alla prudenza – “non sappiamo ancora se questa bozza è vera”, ha detto – ma ha anche invitato a battersi perché il diritto all’aborto “venga protetto dai nostri rappresentanti eletti”. La frase suona come un esplicito richiamo al voto di midterm, il prossimo novembre. In effetti, una sentenza che dovesse cancellare il diritto all’aborto a livello nazionale potrebbe portare a una massiccia partecipazione al voto di gruppi sociali e politici sin qui delusi dall’amministrazione, ma che potrebbero ripensarci come reazione a una decisione percepita come oscurantista. Sarà di interesse particolare anche vedere cosa faranno quelle corporations che hanno i loro quartier generali o sedi in Stati che dovessero proibire l’aborto. Yelp, Citigroup e altre aziende hanno già annunciato di voler aiutare finanziariamente le proprie dipendenti che, impossibilitate ad abortire nello Stato di residenza, vogliano accedere alle cliniche di altri Stati. Amazon ha annunciato nelle scorse ore rimborsi simili. Ma sarà interessante anche capire come verranno indirizzati i finanziamenti elettorali. È probabile che l’eventuale sostegno elettorale delle corporations a politici anti-aborto venga stigmatizzato dai gruppi pro-choice, che dunque potrebbero lanciare campagne di boicottaggio dei prodotti. Insomma, il terremoto che la bozza di sentenza della Corte – vera? falsa? – sta suscitando, è soltanto agli inizi.

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