Televisione

Antonella Elia a FQMagazine: “Ci sono parti di me che urlano di dolore. Barbara D’Urso? La amo, non mi abbandonerebbe mai. Vorrei risentire la De Filippi ma non ho il numero”

"Io sono questa: rido, piango, rido ancora e m’incazzo. Ma m’incazzo davvero, non recito", racconta a FqMagazine all’indomani dell’ultima puntata de La pupa e il secchione show, il reality prodotto da Endemol Shine Italy

di Francesco Canino

Antonella Elia ha lavorato con i “tre tenori della tv” – Corrado, Vianello e Bongiorno -, ha vissuto da protagonista i gloriosi anni ’90, ha tentato la strada della recitazione con tanto di tappa a Hollywood finita male causa solitudine (o forse per non aver seguito i consigli di Mike). Sta in scena da trent’anni e ha collezionato successi, critiche feroci e liti epiche, per colpa di una pelliccia o della fame patita all’Isola dei famosi. Ultimi scampoli di varietà ed epopea dei reality. “Io sono questa: rido, piango, rido ancora e m’incazzo. Ma m’incazzo davvero, non recito“, racconta a FqMagazine all’indomani dell’ultima puntata de La pupa e il secchione show, il reality di Barbara D’Urso prodotto da Endemol Shine Italy, in cui fa la giudice e sferza con commenti al vetriolo pupe e secchioni.

Lei ha lavorato con i “tre tenori” della tv: al passato guarda più con nostalgia o con rimpianto?
Con nostalgia no, piuttosto con fierezza per essere stata protagonista, a mio modo, di una tv unica e irripetibile. Quanto al rimpianto professionale, ne ho solo uno: essere andata via dall’America dove mi ero trasferita per studiare recitazione. Quella è stata l’avventura vera della mia vita.

Poi che accadde?
Avevo la green card, il manager, un agente. Tre anni clamorosi. Ma iniziai a soffrire la solitudine e sono rientrata in Italia. Se avessi resistito, chissà che sarebbe successo: forse sarei una star, forse farei la cameriera in un fast food.

Le manca recitare?
Sì, perché ne subisco il fascino. Tentare di essere in scena qualcun altro o semplicemente tanti te stesso, è terapeutico, creativo, catartico. Fare sempre se stessi è noioso. I produttori teatrali ancora mi cercano.

E perché non accetta?
Il mio agente dice: “Aspetta la proposta giusta”. Non posso fare testi impegnati o classici: l’ultima Medea che ho visto è stata quella dell’immensa Melato, capisce che il confronto sarebbe impietoso? Mi arrivano tanti copioni, ma attendo la commedia giusta: nell’immaginario collettivo sono un personaggio leggero, il pubblico si aspetta da me quello.

Ma essere imbrigliati in ruoli “leggeri” da tanti anni non è un limite?
Non mi pesa affatto. Un tempo avevo grandi ambizioni e se mi davano della scema me la prendevo a morte. Ora so chi sono e gli insulti non mi toccano. Ho imparato che non c’è l’esclusività della verità. Sono la prima critica feroce di me stessa, me lo dico da sola quanto sono rompicoglioni.

Non c’è il rischio che nell’eterno bilico tra il “ci è o ci fa” il pubblico finisca per non comprenderla mai fino in fondo?
Porto al pubblico ciò che sono, nel bene e nel male. E mi sento perfettamente capita dalla gente, per nulla fraintesa.

Persona e personaggio coincidono? Non c’è una maschera?
La maschera c’è, o forse no. Alcune cose emergono, le parti di me che urlano dolore, solitudine e le cicatrici della vita no: non m’interessa appesantire, ho un ruolo preciso ai fini dello spettacolo, da me ci si aspetta svago e leggerezza. Io sono questa: una persona che ride, piange, ride ancora e s’incazza.

S’incazza spesso, per la verità: alcune sue liti in tv sono epiche.
Non le mando a dire. Dico cose pesanti e fuori luogo, spesso interpretate in maniera più aggressiva di quanto non siano. Ma fa parte di me: non recito quella che s’incazza. Ero così anche da ragazzina quando al Costanzo Show litigavo con Alberto Bevilacqua.

Ripete spesso: “Io dico sempre quello che penso”. Sicura che alla gente interessi sempre?
No, ma ripeto: io sono questa. Dico le cose in malo modo? Sì. Ma vengo scelta anche per questo. Non ho freni inibitori, sono istintiva, non sempre calcolo i rischi e ne pago le conseguenze.

Le è successo anche di recente?
Sì, ma non cito i nemici sul campo.

“La Elia? Ho sbagliato e mi sono vergognato di non averla interrotta”, disse Alfonso Signorini dopo la sua lite con Samantha De Grenet: lei fu criticata da tutti, il conduttore del Grande Fratello Vip si dissociò.
È stato un momento doloroso, non mi sono sentita difesa e ne ho sofferto molto. Io mi faccio in quattro per essere all’altezza e in quel momento non ho accettato le sue parole. Resta il fatto che gli voglio molto bene.

Vi siete chiariti?
Sì, certo, andai nel suo camper e ne parlammo.

Le è dispiaciuto non essere stata riconfermata come opinionista del Gf Vip?
Sono stati gentili, mi hanno detto: “Preferiamo cambiare”. Ma per me è stato un fallimento, non mi sono sentita apprezzata.

Le sono piaciute Adriana Volpe e Sonia Bruganelli come opinioniste?
Hanno fatto ciò che era nelle loro corde, ognuno si gioca le sue carte. Nessuno di noi è insostituibile.

Apriamo il cassetto dei ricordi. Chi è stato per lei Corrado?
Un padre artistico e umano. Mi ha amata, mi ha dato consigli, non mi sono mai sentita abbandonata da lui. L’ho vissuto come una figura che mi proteggeva. Ancora oggi ho bisogno di persone così, che mi di diano fiducia, stima e la protezione che non ho avuto da piccola.

L’ultimo ricordo che ha di lui?
Ero a Napoli per Chorus Line. Lo chiamai dall’hotel per invitarlo a vedere il musical perché da lì a pochi giorni saremmo arrivati a Roma. “Certo che vengo”, mi disse. Purtroppo, ebbe un malore e da lì a poco morì.

Gianni Boncompagni la scelse per Non è la Rai.
Lavorai un anno con lui. Era gentile, sarcastico, amava prendere in giro le persone e le situazioni. Non ci fu mai grande confidenza tra di noi.

Trent’anni dopo si discute ancora di quel programma: c’è chi lo idolatra, chi lo accusa di eccesso di “lolitismo”.
Era una trasmissione geniale e perfetta e quando ne rivedo dei pezzi quella schiettezza mi fa tenerezza. Non c’era nulla di sporco. Dove stava il lolitismo? Nei pantaloncini che indossavamo sotto la minigonna? Pantaloncini, ripeto, non perizoma. Ora in tv si vede ben di peggio.

Per tre anni fu poi al fianco di Raimondo Vianello in Pressing.
Il feeling tra di noi scattò sul set del servizio fotografico: “piacere Antonella”, “piacere Raimondo” e iniziò a sfottermi. Ero la spalla perfetta. A distanza di anni da quando lasciai Pressing, in un’intervista disse che la persona con cui aveva avuto più piacere a lavorare ero stata io.

Poi arrivò La ruota della fortuna e l’incontro con Mike Bongiorno, carattere fumantino e poco malleabile.
Ma con me era diverso, mi trattava come la figlia, mi voleva bene. Mi ricordo una volta a Vienna, per il Premio Mozart: mi portava in giro per i mercatini di Natale o a mangiare la Sacher. Era molto paterno con me.

Tranne quando la redarguì nell’indimenticabile episodio della pelliccia: una concorrente della Ruota della fortuna rifiutò il premio in quanto obiettrice e lei si complimentò con la signora.
La risposta di Mike fu epica: “Senti Antonella, tu sei pagata fior di milioni, non puoi venire qui a sfottere lo sponsor”. Scoppiò il caos in studio, lui la prese malissimo, io piansi. Ma un quarto d’ora dopo mi chiamò in camerino e mi disse: “Anche se ti ho detto che sei rincoglionita, non offenderti”. E mi abbracciò.

Non si arrabbiò mai davvero con lei?
Sì, quando lasciai La ruota per andare a fare il musical La bella e la bestia. “Tra cinque mesi, quando finisci, torni qui. Ti aspetto”. Invece Lele Mora, all’epoca mio agente, mi obbligò ad andare a TMC: Mediaset strappò il contratto e Mike si arrabbiò tantissimo. Colpa mia che faccio sempre casini e colpa di Mora che pensava solo ai soldi.

Poi con Mike si chiarì?
Sì, tanto che quando andai a studiare in America chiamò Tony Renis perché voleva che mi aiutasse. Prima ancora scrisse una lettera di presentazione all’Immigration, dicendo che ero una star della tv italiana, e una alla Warner Bros. “Vai e presentati da loro”.

Come finì?
Che non ci sono mai andata, mi vergognavo troppo. “Lo vedi che sei una cretina?”, mi disse quando tornai in Italia. In effetti lo ero: le altre italiane facevano le foto con gli attori, passavano da un party all’altro, io facevo la comparsa e frequentavo quei poveracci dei miei compagni di corso.

Tornando a Corrado, Vianello e Mike: ha capito qual era il segreto della loro grandezza?
Stava nel loro essere degli artisti profondamente umani e veri: non c’era maschera, non c’era vero e verosimile. E poi nelle loro capacità artistiche: Corrado alzando un sopracciglio faceva la Corrida, Mike ha inventato il ruolo del conduttore. Gaffe comprese, che secondo me erano tutte volute.

Lei ha vissuto da protagonista quell’epoca: non è impietoso il confronto con la tv di oggi?
No, semplicemente racconta un momento storico e sociale. Si è evoluta o involuta, dipende dai punti di vista. Oggi è l’epoca degli influencer, geniali nel riuscire a conquistarsi i follower. Per i giovani che seguono La pupa e il secchione show sono loro le star, non io che faccio tv da trent’anni.

Dalla Corrida ai reality, non le pesa questa parabola?
No, perché non ho un occhio giudicante. Faccio i reality e mi diverto pure: mostro la felicità, l’ironia ma anche la rabbia, l’angoscia, la solitudine. Mostro me stessa.

A proposito de La pupa e il secchione: come si è trovata nel ruolo di giudice?
Mi piace far sorridere, stuzzicare, provocare una reazione. Certo, poi mi trovo davanti una Flavia Vento, che mi fa un po’ pena perché ormai è la parodia di sé stessa. Sono stata sgridata perché le ho detto che la odio, ma mi riferivo al personaggio che incarna, non a lei che nemmeno conosco.

Pure Barbara D’Urso l’ha redarguita: “Ti odio non si dice”.
Ma io lo dico lo stesso, anche se mi sgrida. Barbara la amo, mi sento a mio agio con lei, mi piace come donna e come essere umano. Non mi abbandonerebbe anche se uscissi fuori dal seminato, troverebbe comunque il modo di aiutarmi.

Le piace la tv dursiana?
Sì, mi piace. Barbara mette al centro la sua umanità e la prendono in giro perché dice “col cuore”. Ma lei il cuore ce lo mette davvero.

Perché secondo lei la D’Urso è un personaggio così divisivo?
Perché suscita grandi sentimenti, esce dai canoni e questo crea grande amore o grande fastidio. Per me è un pregio essere divisivi, non un limite.

Lei ha lavorato anche con Maria De Filippi, che l’ha voluta a Temptation Island Vip.
L’ho amata moltissimo, da subito. Quando mi parlava, ero in estasi. Mi ha trasmesso in poche parole il suo valore artistico e imprenditoriale: mi ha ricordato il rigore e la determinazione di Mike. Se lavorassi ancora con lei, sarei in una botte di ferro.

È finita male però perché il suo compagno, Pietro Delle Piane, fece un’uscita infelice a Live Non è la D’Urso che per molti fu un attacco al programma. E la Fascino annunciò querela.
Ma quello fu solo un grandissimo malinteso: Temptation Island è un programma verissimo ed è impensabile dire il contrario, soprattutto per chi come noi lo ha fatto. Proprio perché è stato un malinteso colossale, la querela non c’è stata. E mi piacerebbe risentire presto Maria… solo che non ho il suo numero.

Lavorativamente pensa di avere avuto ciò che meritava?
Avrei potuto fare di più. Penso che potrei condurre un programma come l’Isola dei famosi, anche se non sarei la conduttrice classica. Ma non sono stata capita o forse non mi sono fatta capire io. O semplicemente sono nata per fare la spalla: mi piace il gioco a due in scena, mi piace giocare come un animale astuto, mi piace lo scambio energetico e artistico. Chi pensa che fare la spalla sia semplice, non ha capito nulla.

Il suo grande sogno professionale?
Solo uno? Ma io ne ho cento. Voglio condurre Sanremo, girare un film drammatico, scrivere un programma stravagante con cui girare il mondo, ma anche allevare canguri in una fattoria australiana.

Ne scelga solo uno.
Girare una serie tv. Non mi chiamano perché dicono che non sono credibile, ma potrei fare benissimo una detective brillante. Perché imbrigliarmi in un ruolo prestabilito? Io non ho paura di sbagliare: se anche cado, so come ci si rialza.

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