La pubblicità che invita a consumare tonnellate di plastica inutile ed etichetta come sostenibile anche ciò che non lo è, il ruolo dell’imprenditoria e della grande distribuzione, differenziata e riciclo che continuano a essere fonte di dubbi su materiali, regole discutibili dei Comuni e disservizi. Su questo e altro, attraverso il Forum Sostenitori, continuano ad arrivare proposte e segnalazioni, nell’ambito della campagna ‘Carrelli di Plastica’, che ilfattoquotidiano.it porta avanti insieme a Greenpeace. A fare discutere negli ultimi giorni, anche i dati della Ellen MacArthur Foundation su come hanno agito nel 2020 alcune delle multinazionali che immettono sul mercato più tonnellate di plastica e le accuse di Mario Tozzi, primo ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’imprenditoria italiana. In questo contesto, vi anticipiamo, Carrelli di plastica affronterà anche il tema di alcune ‘alternative’ alla plastica vergine, rivelando dati e retroscena tutti italiani che faranno discutere. Intanto, nel Forum Sostenitori, i lettori partono da quello che ritengono uno strumento fondamentale per indirizzare i consumi.
Pubblicità, produttori e Grande distribuzione organizzata – “Non vi sembra di vivere in uno stato pubblicitario? A parte i quotidiani bombardamenti di rito è ormai palese che lo strumento pubblicitario dilagante abbia in animo anche l’educazione dei clienti, perfino l’etica corrente” commenta Gianfry, secondo cui “la tanto reclamizzata sostenibilità è un cavallo di battaglia onnipresente, dai rossetti alle cialde del caffè passando per gli elettrodomestici”. Tutto, insomma, è diventato sostenibile. “È una ipocrisia e una mistificazione della realtà negare che i consumatori sono ostaggio della pubblicità – aggiunge Gaetano – che orienta i consumi non secondo norme igieniche e salutari, ma secondo il bieco profitto”. Dietro la pubblicità, i produttori. Tozzi accusa l’imprenditoria italiana di essere “incapace di riconvertire i propri sistemi e legata a vecchie idee” e di avere “paura di investire”, preferendo continuare a “essere sovvenzionata”. “I padroni del vapore italiani – commenta Gianfry – hanno nella loro generalità storicamente scritto nel codice genetico la regola di massimizzare i profitti tirando il collo il più possibile al materiale umano a disposizione e innovare quando proprio non ce la si fa più, arrivando per questo sempre in ritardo”. E poi c’è la distribuzione. Roberto S. racconta che al Todis ha acquistato una vaschetta (di plastica) di prosciutto crudo: “Ogni fetta è separata dall’altra da un foglio di plastica. Io non lo compro più, ma mi domando perché si permetta una cosa del genere. Sempre da Todis – aggiunge – vedo vaschette (in plastica) di frutti (credo arance) sbucciate e fatte in pezzi incluse di forchetta (in plastica). Normale? La frutta non è protetta già dalla buccia?”.
L’obbligo di etichettatura ambientale – Tra le proposte dei sostenitori, diverse riguardano proprio la responsabilità dei produttori. Per Carlo B. non è sempre facile “identificare il materiale che compone il rifiuto”. “Ritengo – scrive – che, spesso, nell’incertezza vengano conferiti nell’indifferenziata anche materiali di per sé riciclabili”. E propone di “istituire per legge un obbligo per i produttori, o per gli importatori/commercializzatori di qualsiasi prodotto, di etichettare ogni singola confezione con un codice univoco per la chiara identificazione del materiale e dello smaltimento del relativo rifiuto. Con la presenza di un carattere alfabetico sulle confezioni e sui bidoni dei servizi di raccolta, sarebbe facile, sicuro ed immediato il corretto conferimento dei rifiuti favorendone il riciclo”. Ricordiamo che, dopo il quarto rinvio dovuto alle proteste delle imprese, scatterà il 1 gennaio 2023 l’obbligo di utilizzare l’etichetta ambientale degli imballaggi: le confezioni dovranno riportare le informazioni sulla tipologia di imballaggio (per esempio, bottiglia, vaschetta, flacone), l’identificazione del materiale (attraverso una codifica alfanumerica integrata eventualmente con l’icona) e l’indicazione sul tipo di raccolta.
La responsabilità estesa dei produttori – Per quanto riguarda, invece, il regime di EPR (Responsabilità estesa del produttore) nella sua forma attuale (introdotta in Italia con il recepimento delle direttive europee del ‘Pacchetto Economia circolare’), prevede che le aziende paghino il contributo Conai per gli imballaggi, finanziando in parte il sistema di raccolta e smaltimento. Il resto lo pagano i cittadini con la Tari, i Comuni e i Consorzi in quello che è a tutti gli effetti un sistema di responsabilità condivisa. Ma con un sistema di EPR a pieno regime, sono i produttori a pagare in modo ‘esteso’, ossia per tutto il ciclo di vita. L’Europa è intervenuta su questo aspetto nell’ambito della Direttiva europea sulle plastiche monouso (Sup) entrata in vigore in Italia a inizio 2022: regimi di EPR sono stati introdotti per filtri di sigarette, palloncini e salviette umidificate. Ed anche per gli attrezzi da pesca sintetici, con l’obbligo per il fabbricante di coprire i costi per la raccolta differenziata delle reti quando vengono dismesse, per il trasporto verso gli impianti di smaltimento e il loro successivo trattamento. Un ulteriore (e ancora più funzionale) passo in avanti sarebbe l’introduzione dei sistemi di vuoto a rendere, messi in piedi proprio dai produttori.
Differenziata, cosa c’è che non va – I sostenitori continuano a segnalare le loro personali esperienze, alle prese con i diversi sistemi di raccolta differenziata. Renata Carraro scrive da Padova e descrive la frequenza con cui avvengono i ritiri secondo un calendario consegnato a inizio anno: organico due volte la settimana (tre in estate), secco indifferenziato una volta alla settimana, carta una volta ogni due settimane, plastica e lattine una volta ogni due settimane, vetro una volta ogni quattro settimane. E commenta: “In modo da promuovere indifferenziata e non la differenziata. Chiaro no?”. Monica segnala la separazione dei diversi materiali che, racconta, “nella città di Caserta a volte non è rispettata da parte degli operatori ecologici, i quali mischiano i diversi componenti (umido e carta o umido e plastica) al momento del prelievo presso i nostri condomini”. Una pratica che, a detta del Comune, “ovviamente informato, si verifica soprattutto d’estate, quando – ci ha risposto – sono operativi i cosiddetti stagionali”. Lecita qualche perplessità. Zappa.Cerisola abita a Roma sud. “Sono stati sostituiti i cassonetti dell’indifferenziato. Prima erano grigio scuro/nero – scrive – ora sono grigio pallido tendente al bianco. Risultato: si confondono con quelli della carta che sono bianchi. Le etichette con la scritta carta e indifferenziato non sono sempre facilmente leggibili: un motivo in più per i più ‘distratti’ per conferire in modo sbagliato”. S.Pilone abita a Novara, città di circa 100mila abitanti con una differenziata al 73% e “in regola con la legge Ronchi da già da moltissimi anni”. La sua segnalazione riguarda le bottiglie di vetro dell’olio, dell’aceto e del vino, alle quali toglie le parti in plastica per facilitarne il riciclo. “Ho notato – racconta – che da qualche anno molte etichette cartacee sui contenitori di vetro sono state sostituite da etichette di plastica, anche in quel caso provvedo a staccarle. Talvolta mi capita anche di trovare nel cassonetto del vetro sacchetti che sembrano di alluminio, ma sono di plastica argentea”. E propone: “Forse delle informazioni chiare sul cassonetto di destinazione aiuterebbero. In generale molte aziende le forniscono, ma purtroppo non tutte”.
Informare è bene, facilitare i consumatori è meglio – Certamente molto farà l’entrata in vigore dell’etichettatura ambientale obbligatoria per gli imballaggi. E c’è chi si è portato avanti. Eleonora Padovani segnala le informazioni trovate sulla confezione di una tisana drenante acquistata al supermercato: “Astuccio in cartone 100% riciclabile, bustina salva aroma in carta 100% riciclabile, imballi certificati FSC® per salvaguardare le foreste, filtro in cellulosa biodegradabile senza microplastiche, filo in puro cotone senza graffetta in alluminio, scritta in Braille per aiutare ciechi e ipovedenti e produzione a zero emissioni di C02”. Tutto in aggiunta alle indicazioni rispetto alla selezione della piantagione, all’acquisto responsabile delle materie prime, alla lavorazione delle miscele. Più informazioni si hanno e meglio è, non v’è dubbio, ma il primo passo è facilitare il compito dei consumatori, molti dei quali (per le più svariate ragioni) non si prenderanno il disturbo di staccare le etichette dai contenitori se sono prodotte con un materiale diverso e saranno disposti a leggere poche e chiare indicazioni. Ecco perché la regola d’oro non può che essere meno imballaggi, più riutilizzo e stop alle confezioni miste di materiali eterogenei.