Immediata la risposta della Chiesa ortodossa russa: "Proviene da una famiglia i cui membri sono stati sottoposti per decenni a repressioni per la loro fede e posizione morale durante i giorni dell’ateismo militante comunista, senza temere reclusione e repressioni. Quindi bisogna essere completamente estranei alla storia della nostra Chiesa per intimidire il suo clero e i suoi credenti inserendoli in alcune liste"
È la prima volta che la Commissione europea propone di sanzionare un’autorità religiosa. L’ipotesi, che rientra nel sesto pacchetto di misure di Bruxelles in risposta alla guerra in Ucraina, è scaturita dalle nuove dichiarazioni del Patriarca ortodosso di Mosca Kirill: “Non vogliamo combattere nessuno. La Russia non ha mai attaccato nessuno. È sorprendente che un Paese grande e potente non abbia mai attaccato nessuno, abbia solo difeso i suoi confini. Dio voglia che fino alla fine del secolo il nostro Paese sia così: forte, potente e allo stesso tempo amato da Dio”. Affermazioni che seguono le precedenti benedizioni di Kirill alla guerra voluta dal presidente russo Vladimir Putin. Una posizione ripetuta che, come ha precisato Papa Francesco, ha fatto saltare il secondo faccia a faccia tra i due leader religiosi dopo l’unico incontro svoltosi a L’Avana nel 2016.
Bergoglio ha spiegato chiaramente la sua decisione al Corriere della Sera: “Ho parlato con Kirill 40 minuti via Zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”.
Immediata la risposta della Chiesa ortodossa russa alla Commissione europea. “Kirill – ha affermato il portavoce del Patriarcato di Mosca, Vladimir Legoyda – proviene da una famiglia i cui membri sono stati sottoposti per decenni a repressioni per la loro fede e posizione morale durante i giorni dell’ateismo militante comunista, senza temere reclusione e repressioni. Quindi bisogna essere completamente estranei alla storia della nostra Chiesa per intimidire il suo clero e i suoi credenti inserendoli in alcune liste”. Per ora nei sacri palazzi nessuno commenta l’ipotesi delle sanzioni per il Patriarca di Mosca. Difficile entrare a gamba testa in una partita che sta gestendo direttamente Bergoglio, come lui stesso ha dimostrato parlando apertamente del rapporto con Kirill e dei ripetuti contatti in questi ultimi mesi. Il capo della Chiesa ortodossa russa, che in passato è stato anche informatore del Kgb, avrebbe, inoltre, un patrimonio che supera i 4 miliardi di dollari. Accuse che il Patriarca ha sempre negato. Eppure c’è addirittura chi ha ipotizzato che il patrimonio possa essere quasi il doppio.
Miliardi che sarebbero stati accumulati grazie alle esenzioni fiscali statali russe riferibili al mercato della manifattura di tabacco e di birra. “Ha fatto fortuna negli anni 2000, – ha spiegato la giornalista Anne-Sylvie Sprenger – quando era a capo degli Affari esteri del Patriarcato di Mosca e l’Iraq era sotto embargo statunitense. All’epoca la Russia appoggiava l’Iraq, inviando medicine e altri beni di prima necessità. Il commercio delle sigarette era stato affidato alla Chiesa russa, che ne prendeva la decima. Il Patriarca Kirill ha così rafforzato il suo patrimonio personale. Possiede uno chalet in Svizzera, apparentemente nel cantone di Zurigo: è uno sciatore incallito sin dall’infanzia. Insieme a suo fratello, che è stato a lungo il rappresentante del Patriarcato di Mosca al Consiglio ecumenico delle Chiese, hanno tessuto profondi legami con la Svizzera. Dovrebbero esserci anche dei conti bancari lì”.
Se da un lato il Vaticano non può di certo benedire le sanzioni a Kirill, soprattutto in modo più o meno esplicito perché ciò scatenerebbe davvero una guerra religiosa, dall’altro è evidente che tutti i tentativi fatti finora dal Papa per lavorare con il Patriarca per la fine del conflitto in Ucraina sono falliti. Da qui la volontà di Francesco di parlare direttamente con Putin visto che tutti gli altri interlocutori a lui più vicini, dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede, al ministro degli Esteri del Cremlino fino a Kirill, non sono stati in grado di sostenere le sue ragioni. Sicuramente è un segnale altamente preoccupante per la Santa Sede che il capo di una Chiesa cristiana, che condivide quindi lo stesso Vangelo con il cattolicesimo, si schieri in modo così netto e pubblico a favore della guerra in Ucraina, sostenendone perfino le motivazioni.
È significativo quanto il Papa aveva spiegato al Patriarca nel tentativo di fargli fare marcia indietro e di lavorare con lui per la pace: “La Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo che crede in Dio, nella Santissima Trinità, nella Santa Madre di Dio: per questo dobbiamo unirci nello sforzo di aiutare la pace, di aiutare chi soffre, di cercare vie di pace, per fermare il fuoco”. Aggiungendo: “Chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore. Come pastori abbiamo il dovere di stare vicino e aiutare tutte le persone che soffrono per la guerra. Un tempo si parlava anche nelle nostre Chiese di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così. Si è sviluppata la coscienza cristiana dell’importanza della pace”.
Parole che, anche questa volta, sono cadute nel vuoto, convincendo Francesco a far saltare il nuovo faccia a faccia proprio per evitare di essere trascinato in un incidente diplomatico molto rischioso: “Mi dispiace che il Vaticano abbia dovuto annullare un secondo incontro con il Patriarca Kirill, che avevamo programmato per giugno a Gerusalemme. Ma la nostra diplomazia ha ritenuto che un incontro tra noi in questo momento potesse portare molta confusione. Io ho sempre promosso il dialogo interreligioso. Quando ero arcivescovo di Buenos Aires ho riunito in un fruttuoso dialogo cristiani, ebrei e musulmani. È stata una delle iniziative di cui vado più orgoglioso. È la stessa politica che promuovo in Vaticano. Per me l’accordo è superiore al conflitto”.