“Sono profondamente onorato nell’accettare la proposta. Venezia è il mio Leone del cuore”. Così Paul Schrader ha accolto la decisione della 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (dal 31 agosto al 10 settembre 2022) di attribuirgli il Leone d’oro alla carriera. Un riconoscimento che definire “doveroso” suona riduttivo: Schrader è tra i massimi esponenti dell’arte cinematografica mondiale da quasi un cinquantennio, straordinario sceneggiatore, raffinatissimo regista, tra le figure seminali della New Hollywood, autentico rivoluzionario nell’ “immaginario, estetica e linguaggio del cinema americano” per dirla con le parole del direttore artistico della Mostra, Alberto Barbera, nell’annuncio del riconoscimento. Del resto è noto che davanti a capolavori cult come Taxi Driver (1976) e Raging Bull (Toro Scatenato, 1980) la reazione immediata evochi il binomio Scorsese-DeNiro, e dunque va ricordato ai distratti che dietro c’è la scrittura epica di Paul Schrader, uomo coltissimo e spericolato, nato nel 1946 nel Michigan in una famiglia calvinista che gli ha vietato di vedere film fino al compimento della maggiore età, quando decise di andarsene di casa.
La cifra di Schrader è da inizio carriera ad oggi talmente potente e riconoscibile tra le righe da lui scritte e le inquadrature da lui scelte da regista, da poterlo annoverare tra i più coerenti artisti cinematografici viventi. Già critico cinematografico appena ventenne, si laurea in cinema alla UCLA con una tesi sul “trascendente nel cinema” di Ozu, Bresson, e Dreyer, tracciando già allora quelli che sarebbero diventati i suoi perimetri di ricerca umanista, filosofica e teologica declinati sul dispositivo cinematografico. Uomini soli e tormentati, gravati da colpe e rimossi, vite maledette, spesso criminali, individui alla ricerca di una redenzione che si susseguono, diversamente espressi tra regie e sceneggiature da Obsession (regia di De Palma, 1976) ad American Gigolo (1980), da Il bacio della pantera (1982) a L’ultima tentazione di Cristo (regia di Scorsese, 1987), da Lo spacciatore (1992) fino agli ultimi magnifici lavori The Canyons (2013), Dog Eat Dog (2016) e soprattutto i due più recenti, autentici capolavori da lui diretti, First Reformed (2017) e The Card Counter (Il collezionista di carte, 2021). Da notare che proprio questi due film sono stati concorrenti alla Mostra veneziana senza (vergognosamente) ricevere neppure un premio. Ma si sa, non è colpa del festival, semmai delle giurie.
Comunque sia, dalle parole di Barbera si evince la profonda soddisfazione nell’aver individuato in Paul Schrader il Leone alla carriera per quella che sarà, peraltro, la 90ma edizione della kermesse sul Lido. “Non è un’esagerazione affermare che si tratta di uno dei più importanti autori americani della sua generazione, un cineasta profondamente influenzato dal cinema e dalla cultura europea, uno sceneggiatore ostinatamente indipendente, ma capace di lavorare su committenza e di muoversi con disinvoltura nel sistema hollywoodiano. L’audace stilizzazione visiva che informa tutte le sue opere, le colloca tra le forme più moderne di un cinema non riconciliato e sottilmente indagatore della contemporaneità. Una contemporaneità con cui Schrader si confronta non solo con curiosità intellettuale e umana instancabile, ma anche con una sorprendente capacità di navigare l’evoluzione tecnologica del cinema e quella del suo sistema produttivo e distributivo. Grazie a questa spericolatezza – che non molti autori del suo livello osano, nella fase matura della loro opera – Schrader non solo continua a lavorare, ma ci ha dato alcuni dei suoi film più belli proprio negli ultimi anni”.