Dal Piano innovativo qualità dell’abitare (Pinqua), sperpero di 2,8 miliardi di euro, quasi zero contrasto al disagio abitativo. Dal rapporto del ministero delle Infrastrutture relativo ai programmi presentati da Comuni, Regioni e Aree metropolitane si evince che da questo Piano il disagio abitativo sarà solo sfiorato. La relazione del Rapporto afferma che in Italia si è assistito a un graduale aumento delle famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta. Secondo le stime dell’Istat, in Italia sono circa due milioni le famiglie povere, con un’incidenza che è passata dal 2,5% del 2005 al 7,7% del 2020. Particolarmente alta è la percentuale di famiglie povere nel Mezzogiorno, dove si registra un’incidenza del 9,4%, pari ad oltre 770mila famiglie.
Il Rapporto segnala che “Le condizioni di povertà delle famiglie sono strettamente connesse alla tipologia di godimento dell’abitazione in cui si vive, delle due milioni di famiglie povere in Italia il 43,1% (866mila) è in affitto. Il 22,1% delle famiglie in povertà assoluta nel Mezzogiorno è affittuaria, mentre nelle regioni del Nord e del Centro tali percentuali risultano rispettivamente pari al 18,1% e al 12,3%. In media, una famiglia in condizione di povertà assoluta ha un’incidenza sul totale delle spese familiari pari al 35,9%”.
Sembrerebbe quindi che il disagio abitativo che il Pinqua in maniera strutturale doveva prioritariamente affrontare fosse quello di dare una risposta abitativa adeguata a quei redditi e, contestualmente con il recupero senza consumo di suolo, garantire più alloggi di edilizia residenziale pubblica, miglior qualità dell’abitare ed efficientamento energetico. Così non è stato! In realtà, pur essendo la rigenerazione urbana e la riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale sociale il cuore del programma, gli interventi riguardano un aumento di alloggi disponibili pari a 16.500 e di questi l’80% non sono case popolari a canone sociale ma interventi pubblico-privato, ovvero quel social housing che non è accessibile a coloro che sono in povertà assoluta o con redditi per accedere a case popolari.
Il rapporto afferma che dei 2,8 miliardi di euro le risorse a livello territoriale sono state così distribuite: al Mezzogiorno sono stati destinati circa 1,1 miliardi (40,1%), il Nord ha una dotazione di 1,1 miliardi (37,9%), mentre per il Centro sono previsti 618 milioni (22%). Interessante è scoprire come, mentre i programmi interessano circa 1,3 milioni di mq di superficie residenziale, vengono coinvolti nella riqualificazione/nuova edificazione solo 16.500 unità abitative. Circa il 40% di queste è previsto nelle regioni del Nord (circa 6,6 mila), dove incidono particolarmente gli interventi nella regione Lombardia (2,5 mila unità abitative). Le unità abitative realizzate garantiranno un accesso calmierato, in funzioni dei canoni di edilizia sociale. Appunto in grandissima parte sono interventi a canone calmierato, non a canone sociale. Questo significa che sul disagio abitativo, quello che lo stesso Rapporto indica nelle famiglie in povertà assoluta (866mila famiglie in affitto), il Pinqua con i suoi 2,8 miliardi di euro inciderà molto superficialmente.
Eppure si poteva e si doveva fare di più e meglio, a fronte di un impegno economico derivante dal Pnrr e in coerenza con la mission del Pinqua. Così non è stato. A fronte di soli 16.500 alloggi in più, all’80% destinati ad housing sociale, che non è edilizia residenziale pubblica a canone sociale, oggi in Italia abbiamo almeno 50mila case popolari inutilizzate per mancanza di interventi manutentivi.
Alcuni esempi danno l’idea di come il Pinqua sia stata una occasione persa. Prendiamo alcuni esempi non esaustivi di case popolari inutilizzate per mancata manutenzione: Rovigo 800 case popolari vuote, Venezia mille case popolari sfitte, di queste 500 nel centro; Mantova 700 case popolari vuote, Sondrio 38 case popolari vuote su 120 famiglie in graduatoria; Milano 13mila case popolari vuote; Como 337 case dell’Aler vuote; Aler Cremona quasi 2300 case popolari inutilizzate, Firenze 700 case popolari inutilizzate, a Pisa 170 case popolari chiuse. Infine a Roma sembra che le case popolari vuote siano alcune centinaia, ma il dato incredibile è stato rilevato dall’Unione Inquilini che, a seguito di un accesso agli atti, ha avuto come risposta che il comune da agosto 2021 a febbraio 2022 ha assegnato solo 37 appartamenti a famiglie in graduatoria. Solo nelle città citate avremmo potuto recuperare circa 20mila case popolari tutte da destinare a famiglie in graduatoria, riqualificandole ed efficientandole per una migliore qualità dell’abitare. Non è successo, ma non per un destino cinico e baro.