Il progetto vale 930 milioni di euro e dovrebbe essere realizzato con i fondi del Pnrr (se i lavori rispetteranno la scadenza). Si tratta di un passante ferroviario in galleria con quattro binari dedicati al traffico merci, in modo da far transitare fino a 260 convogli al giorno. Ma secondo gli oppositori - che propongono un tracciato alternativo - rischia di trasformarsi in una bomba ambientale: "Per com'è stata pensata, l'opera non rispetta il territorio"
Sulla carta il progetto vale 930 milioni di euro, ma aggiungendone trecento per le bonifiche e altrettanti per il rincaro dei prezzi non è azzardato prevedere che il costo finale sfiorerà il miliardo e mezzo. Quell’oggetto misterioso che è il bypass ferroviario di Trento, proposto da Rete ferroviaria italiana (Rfi), ha il sostegno convinto del sindaco Franco Ianeselli e dell’amministrazione provinciale, ma sta scatenando la rivolta della popolazione. Fino alla scorsa estate non se ne sapeva quasi nulla, poi – con la pubblicizzazione del Pnrr – si è scoperto che l’idea accarezzata da un paio di decenni potrebbe tradursi in realtà, anche se nessuno è disposto a scommettere che ciò possa avvenire entro il giugno 2026, deadline fissata dai finanziamenti europei.
La “Rete dei cittadini”, che raccoglie numerose associazioni locali, ha realizzato un video di controinformazione per spiegare come il progetto rischi di trasformarsi in una bomba ambientale e in una dissipazione di risorse. Di cosa si tratta? Di un passante ferroviario in galleria, della lunghezza di 12 chilometri e mezzo, con quattro binari di cui due della linea Verona-Brennero dedicati esclusivamente al traffico merci in modo da far transitare fino a 260 convogli al giorno, uno ogni cinque minuti. Si tratta di treni lunghi anche settecento metri, del peso di 1.600 tonnellate. Il tunnel occuperebbe una larghezza di una quarantina di metri e raggiungerebbe fino a venti metri di profondità. Dovrebbe entrare nel sottosuolo a sud di Mattarello e risalire in superficie in località San Martino, per raggiungere la stazione dell’Interporto, a nord della città. “Non siamo contrari a priori a quest’opera, ma pensiamo sia sbagliata, innanzitutto perché prevede l’attraversamento della città con un tracciato a sinistra dell’Adige e sotto la collina Est, nel ventre del territorio urbano“, spiega Martina Margoni, presidente del Comitato San Martino Buon Consiglio. “Così come è stata pensata, dimostra di non rispettare il territorio di Trento, le zone agricole a sud, le sorgenti e la fragilità geologica della zona collinare, nonché la fragilità del tessuto sociale ed economico del territorio”.
Il video ospita gli interventi di tecnici e professionisti, secondo cui il progetto di Rfi “non può avere e non avrà futuro. Inoltre attraversa, con una scelta assolutamente inconcepibile ed impraticabile, le zone inquinate ex Sloi ed ex Carbochimica”. L’ingegnere Andrea Maschio, consigliere comunale ex M5S ora nel gruppo Onda Civica: “Ci sono enormi interrogativi sulle bonifiche. Abbiamo chiesto di sapere i metodi e i costi, non ci hanno mai risposto, ma si tratta di almeno 250 milioni di euro ai valori di oggi. Dire che questo può rientrare nel calcolo Pnrr dimostra che c’è qualcosa che non torna. Chi li pagherà?”. L’ingegnere Claudio Geat, presidente della Circoscrizione Centro storico: “C’è stata una sottovalutazione generale dei problemi e dei costi: le falde vengono collocate a livelli diversi, non c’è un calcolo corretto dei volumi di scavo, da decenni c’è la presenza di un’area Sin contaminata di interesse nazionale. Altri errori progettuali gravissimi di Italferr (la controllata delle Ferrovie per le progettazioni ingegneristiche, ndr) riguardano il materiale da portare via, che andrà trattato come rifiuto speciale. Con quelle carenze, un privato avrebbe dovuto ripresentare il progetto, invece qualche mese fa per l’amministrazione comunale era un sogno. A me sembra un incubo”. Il rischio di inquinare le falde è elevato, visto che gli scavi arriveranno a venti metri di profondità e in alcuni casi le falde sono a tre-quattro metri. Le sorgenti censite sono 220. “In realtà Italferr pensa di lavorare in un ambiente asciutto – spiega la fisica Manuela Guidolin – e si è dimenticata di una parte delle fonti idriche. Abbiamo calcolato che in un anno si possano perdere cinque milioni di metri cubi d’acqua, un danno inestimabile”. Esiste, quindi, un elevato rischio idrogeologico.
Ancora, l’ingegnere Mario Perghen Gelmi, funzionario tecnico della Provincia: “C’è la possibilità di mettere a rischio, con le sorgenti, 80-100 litri al secondo di risorse idriche potabili. Geologicamente, il tunnel a nord inizia in una zona di rocce molto friabili, con una distanza ridotta dagli edifici soprastanti. Sono quindi da ritenere possibili lesioni più o meno importanti, anche perché finora sono stati eseguiti solo tre sondaggi geologici, mentre è buona regola farne uno ogni 500 metri. Nel nostro caso ne servirebbero almeno una ventina”. L’architetto Giorgio Pedrotti, esperto in piani urbanistici: “Non dimentichiamo che a sud c’è villa Bortolazzi, tutelata per il valore architettonico e paesaggistico. Un altro ostacolo riguarda gli espropri. Per eseguirli, anche se il Pnrr ha valore urbanistico, servono strumenti urbanistici aggiornati e l’approvazione del progetto definitivo dell’opera, mentre siamo solo in una fase di fattibilità tecnico-economica, prima di dar corso alla definizione dell’indennità di esproprio”. Una posizione soltanto contraria? Non pare, visto che in tempi rapidi la Rete dei Cittadini ha elaborato un progetto alternativo a destra dell’Adige che riprende quello scelto nel 2003 dalle Ferrovie, a ovest della città. I vantaggi? “Non attraversa l’abitato a nord del centro, non si demoliscono edifici a San Martino, non si interferisce con aree o rogge inquinate da bonificare, non si mettono a rischio le principali sorgenti dell’acquedotto di Trento e non si creano fasce di rispetto e servitù in area urbana”.