Quarantaquattro anni, nata in Martinica e cresciuta a Queens, con una formazione di studiosa della politica, Jean-Pierre ha una lunga storia di militanza democratica. Ha partecipato alle campagne elettorali di Barack Obama nel 2008 e nel 2012, è stata portavoce di uno tra i più importanti gruppi dell’arcipelago progressista, MoveOn.org, fino a diventare chief of staff di Kamala Harris durante la campagna presidenziale del 2020
È una successione nella continuità quella che avviene ai vertici della comunicazione alla Casa Bianca. Karine Jean-Pierre, sinora vice di Jen Psaki, prende il suo posto e diventa la principale portavoce di Joe Biden. La scelta appare “naturale”, dovuta, ma in realtà ha un forte valore politico. Per la prima volta una donna afroamericana, e apertamente omosessuale, diventa il volto ufficiale della Casa Bianca.
Quarantaquattro anni, nata in Martinica e cresciuta a Queens, con una formazione di studiosa della politica, Jean-Pierre ha una lunga storia di militanza democratica. Ha partecipato alle campagne elettorali di Barack Obama nel 2008 e nel 2012, è stata portavoce di uno tra i più importanti gruppi dell’arcipelago progressista, MoveOn.org, fino a diventare chief of staff di Kamala Harris durante la campagna presidenziale del 2020 ed entrare quindi nello staff della Casa Bianca. Jen Psaki, che le lascia il posto, la descrive come “appassionata, intelligente, con un fondamento morale che non la rende soltanto una gran collega, ma anche un essere umano e una mamma straordinaria. In più, ha un gran senso dell’umorismo”.
Psaki lascia il suo posto alla Casa Bianca per andare a condurre un programma a Msnbc, la tv di orientamento progressista (non sarà comunque lei a sostituire Rachel Maddow, la star del canale, conduttrice di un seguitissimo programma di informazione politica alle 21). L’addio di Psaki non arriva a sorpresa. Quando assunse l’incarico, nel gennaio 2021, disse che sarebbe rimasta portavoce della Casa Bianca per circa un anno. È restata al suo posto qualche mese in più, cercando di ridare normalità a incontri con la stampa che, negli anni di Donald Trump, erano diventati occasioni di scontro, confusione, tensione perenne. Non sono però mancati, anche per Psaki, i momenti difficili. Sono per esempio diventati celebri, tra la stampa di Washington, i suoi puntuti scambi di battute con Peter Doocy, il corrispondente di Fox News.
Psaki abbandona, e Jean-Pierre entra in scena, in un momento particolarmente delicato per l’amministrazione Biden. C’è da gestire la guerra in Ucraina, la crisi innescata dalla probabile cancellazione del diritto all’aborto a livello federale da parte della Corte Suprema, l’aumento dei prezzi, infine le elezioni di midterm, a novembre, che si preannunciano particolarmente ardue per Biden e i democratici. Gli indici di popolarità del presidente sono in ripresa, ma restano piuttosto bassi (al 42%, dice un sondaggio Washington Post/Abc del 1 maggio). In discussione soprattutto la sua gestione dell’economia, oltre alle difficoltà a portare avanti un’agenda di promesse ambiziose – su immigrazione, armi, diritto di voto, aborto, tasse studentesche – di cui nulla è diventato realtà.
Jean-Pierre dovrà dunque gestire una fase tumultuosa, con mansioni che sono tra le più delicate all’interno di un’amministrazione. La White House press secretary è il volto dell’amministrazione davanti ai giornalisti che ne veicolano il messaggio all’opinione pubblica americana e al mondo. Nei momenti di crisi, durante scandali e guerre, è il/la portavoce che ogni giorno aggiorna sulle posizioni della Casa Bianca, diventandone quindi l’immagine più riconoscibile e ricercata. I suoi rapporti con i media devono essere buoni, senza però mai diventare troppo stretti. In quanto portavoce, ogni sua frase deve essere attenta, calibrata, capace di sintetizzare, e di chiarire, il pensiero del presidente. Una parola di troppo, un giudizio avventato, rischiano di innescare una crisi politica.
Non sfugge comunque nella nomina di Jean-Pierre un elemento politico forte. Ancora una volta, Biden nomina a un posto di responsabilità una donna afroamericana. È successo molte volte in questi mesi. Kamala Harris è diventata vicepresidente, Ketanji Brown Jackson è stata nominata giudice alla Corte Suprema, Susan Rice è diventata chair del Domestic Policy Council, Linda Thomas-Greenfield ha preso posto come ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, altre donne nere hanno assunto posizioni di rilievo. Sono nomine con cui Biden riconosce il ruolo che l’elettorato femminile afroamericano ha avuto nella sua vittoria presidenziale. Un elettorato che il presidente spera di mobilitare ancora, in vista delle elezioni di novembre.