Dal Tribunale di Padova, depositata il 28 aprile scorso, arriva una delle pronunce più chiare e coraggiose in materia di obbligo vaccinale. Non solo sul piano giuridico sostanziale e processuale, ma anche – il che non è affatto scontato dinanzi a provvedimenti giudiziari – sotto il profilo della nuda logica e del nitore concettuale.
Tutto nasce dalla vicenda di una operatrice socio-sanitaria dipendente dell’ULSS 6 Euganea sospesa a Ferragosto 2021 dal lavoro e, conseguentemente, anche dalla possibilità di ricevere lo stipendio. La lavoratrice adiva il Tribunale del lavoro di Padova con un procedimento di urgenza, ex art. 700 c.p.c., deducendo la illegittimità del provvedimento e chiedendo la reintegrazione nelle proprie mansioni.
Il giudice patavino ha preliminarmente evidenziato la non manifesta infondatezza di due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.L. 44/2021 concernenti: 1) la difformità rispetto all’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza; 2) la difformità rispetto all’art. 32 della Costituzione sotto il profilo della tutela del diritto alla salute del singolo.
Soprattutto, il Tribunale ha rimarcato l’inidoneità dello strumento vaccinale rispetto al dichiarato scopo di contenere e inibire il contagio: “Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano)”.
Vi ricordare il famoso “sillogismo” coniato a Palazzo Chigi: non ti vaccini, ti ammali, contagi, ti contagi e muori? Ebbene, il Giudice smentisce impietosamente tale vulgata richiamando, expressis verbis, il contenuto dei siti governativi: “Lo stesso Ministero della Salute dichiara tassativamente falsa (cosiddetta fake news) l’affermazione secondo cui se ho fatto il vaccino contro Sars-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri”.
Il punto chiave, la frase “simbolo”, per così dire, dell’intero provvedimento, è però un’altra: “La garanzia che la persona vaccinata non sia infetta è pari a zero”. Infatti, paradossalmente, sono molto meno “pericolosi” (quali ipotetici vettori di contagio) proprio i soggetti non vaccinati i quali debbano sottoporsi all’estenuante iter del tampone ogni quarantotto ore: “La persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus non è assoluta ma è certamente superiore a zero”. Ecco allora che il bilanciamento doveroso – cui è chiamato il Parlamento – tra i diritti costituzionali coinvolti (diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto alla autodeterminazione terapeutica) è stato operato “in maniera manifestamente irragionevole”. E ciò, si badi bene, non solo in base a quanto previsto dal diritto interno, ma anche laddove si intenda “illuminare” la vicenda sotto i riflettori del diritto comunitario.
Vedasi, per esempio, l’articolo 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “possono essere apportate limitazioni (ai diritti e alle libertà, nda) solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Per la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Ue il principio di proporzionalità presuppone l’adempimento di tre condizioni cumulative: “attitudine”, “necessità” e “proporzionalità in senso stretto”. Per il giudice della città del Santo, nessuna di esse risulta rispettata nel caso di specie, atteso che la vaccinazione obbligatoria “non è necessaria né raggiunge lo scopo di evitare il contagio, e impone al lavoratore un sacrificio all’evidenza completamente insostenibile, privandolo integralmente e drasticamente dell’unico mezzo che consente a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
In conclusione, il Tribunale ha accolto il ricorso della lavoratrice sospesa “a condizione che ella si sottoponga a proprie spese, per la rilevazione di Sars-CoV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 negli altri due”. Considero tale esito una vittoria, per quanto piccola: non solo per la protagonista del caso giudiziario, ma per chiunque continui a pensare che una delle vittime principali del biennio pandemico è stata la “ragione”. E anche per chi è convinto – come ci ricorda la celebre acquaforte di Francisco Goya – che il sonno della ragione genera mostri.