Una vittoria di facciata che consente a Lega e Forza Italia di cantare vittoria sul catasto. E un cedimento reale del governo sul sistema di tassazione duale, che pure era esplicitamente previsto nel documento conclusivo delle commissioni Finanze di Camera e Senato propedeutico alla riforma del fisco, approvato la scorsa estate. È questo – in attesa dell’accordo finale con il resto della maggioranza al momento assai infastidita dalla “trattativa esclusiva” tra Chigi e due soli partiti – il punto di caduta dopo mesi di stallo sulla delega fiscale. Nonostante l’articolo sulla revisione del catasto fosse l’unico già votato in commissione a Montecitorio, dove l’esecutivo si era salvato per un voto, il centrodestra ha ottenuto la cancellazione dal testo del riferimento al “valore patrimoniale” degli immobili. Ma nella sostanza la marcia indietro ha un impatto non sostanziale.

Resta infatti l’indicazione che alle case, accanto alla rendita catastale cui è legata la tassazione, dovrà essere attribuita anche un’ulteriore rendita calcolata in base ai criteri del Dpr 138 del 1998 che già consente revisioni delle tariffe d’estimo con riferimento “ai valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare”. In più chi accede alla banca dati catastale potrà avere accesso ai dati dell’Osservatorio Omi dell’Agenzia delle Entrate che dà conto dei prezzi minimi e massimi delle compravendite nella zona in cui si trova un determinato immobile, a seconda di metri quadri, tipologia e stato di conservazione. Di sicuro sembra eccessiva la rivendicazione del Carroccio secondo cui questi ritocchi “salvano” i cittadini dalle presunte “tasse della sinistra“: come ribadito più volte da Mario Draghi la versione precedente della delega già escludeva esplicitamente che le nuove informazioni – disponibili se tutto va bene dal 2026 – fossero utilizzate per la determinazione della base imponibile.

Secondo Simone Pellegrino, associato di Scienza delle finanze all’Università di Torino e collaboratore de lavoce.info, il governo ha comunque perso un’occasione per intervenire in maniera più incisiva: “Il nostro sistema fiscale è nato per tassare le rendite, mentre oggi tassa prevalentemente i valori patrimoniali. Prevedere solamente una rendita catastale aggiornata lascia il tempo che trova. Le informazioni per determinare un plausibile valore di mercato per tutti gli immobili oggi ci sono”. Ma occorre tener presente che intervenire sulle rendite catastali è cosa differente dal metter mano alle imposte che gravano sui valori catastali calcolati a partire dalle rendite: “Le imposte sono una scelta politica. E nulla vieta di fare una riforma a parità di gettito che però avrebbe l’effetto di redistribuire le imposte tra contribuenti e tra comuni”. Ne sarebbero avvantaggiati i proprietari di case in periferia, accatastate più di recente, mentre pagherebbe di più chi ha abitazioni nelle zone centrali delle grandi città.

Ben più rilevante per Pellegrino è la decisione di rinunciare al passaggio a un modello di tassazione pienamente duale in cui i proventi da lavoro sono tassati in maniera progressiva e quelli che derivano dalla messa a frutto del capitale con un’aliquota proporzionale. “Si è deciso di lasciare invariate la cedolare secca sui canoni di locazione e l’aliquota agevolata del 12,5% sui titoli di Stato. Ma così la riforma complessiva non è organica e tende a rispecchiare lo status quo: viene meno l’obiettivo di mettere davvero ordine in un sistema in cui sempre più base imponibile è sottratta all’Irpef”.

Tornando al catasto, dal compromesso con il centrodestra esce confermato il rafforzamento degli strumenti a disposizione di enti locali ed Entrate per identificare le “case fantasma” sconosciute al fisco. Con l’aggiunta che il gettito così recuperato – da questo punto di vista qualcuno che “pagherà di più” ci sarà – potrà essere utilizzato per abbattere il prelievo sugli altri immobili dello stesso Comune.

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