Disgregare la Nato e l’Ue erano obiettivi prefissati di Vladimir Putin alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina. E sul fronte europeo Mosca sembra aver individuato quello che considera l’anello debole di Bruxelles: l’Ungheria di Viktor Orban. Mentre nelle stanze dei palazzi Ue si discute e si contratta sulle tempistiche e i modi per sganciarsi dalle risorse energetiche della Federazione, dal governo di Budapest arriva la chiusura totale ai piani europei: “Le sanzioni al settore energetico russo rappresentano per noi una linea rossa“. Parole del premier Orban che sono piaciute a Mosca, tanto che l’ex presidente e oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, le ha definite “coraggiose”.
LA POSIZIONE DI BUDAPEST – Intervistato alla stazione radio Kossuth, il primo ministro magiaro ha rivelato di non essere contrario alle sanzioni a prescindere, ma di non poter accettare che queste colpiscano petrolio e gas di Mosca: “Ero pronto a concordare con i primi cinque pacchetti di sanzioni Ue, ma ho detto chiaramente fin dall’inizio che c’è una linea rossa: il settore dell’energia”, ha affermato. La sua posizione viene giustificata con le conseguenze sull’economia ungherese, una “bomba atomica” l’ha definita il leader di Fidesz. La geografia del Paese orientale dell’Ue e le infrastrutture energetiche esistenti, spiega, rendono impossibile lo stop al petrolio russo: “Non possiamo accettare una proposta che ignori questa circostanza”.
LA RUSSIA STA CON BUDAPEST – La posizione assunta da Orban rischia di far naufragare ogni tipo di negoziato sul sesto di pacchetto di sanzioni in discussione a Bruxelles e questo le è valso il plauso dei vertici di Mosca. Non è la prima volta che il leader ungherese spalleggia quello che non ha mai smesso di considerare, nonostante faccia parte dell’Ue, come un punto di riferimento e un partner importante per il suo governo. Tanto da creare anche una spaccatura all’interno del gruppo sovranista di Visegrad in seno all’Unione proprio sul tema dello stop al petrolio russo. Il 29 marzo scorso, Polonia e Repubblica Ceca fecero sapere di non avere alcuna intenzione di inviare i propri rappresentanti alla riunione ministeriale del gruppo convocata a Budapest. Il motivo, spiegarono, erano proprio la posizione assunta dal governo ungherese sul conflitto tra Russia e Ucraina e i legami tra l’esecutivo e il Cremlino. “Ho sempre appoggiato il V4, ma sono addolorata dal fatto che adesso i politici ungheresi ritengano più importante il petrolio russo a buon mercato rispetto al sangue ucraino“, disse allora la ministra della Difesa ceca, Jana Cernochova. La dipendenza ungherese dal gas russo è evidente se si guardano i numeri, ma anche gli altri Paesi di Visegrad sono altrettanto legati a Mosca su questo punto.
Le dichiarazioni di Orban hanno ricevuto il sostegno di Mosca. A parlare è stato Medvedev che ha definito la mossa del leader magiaro “un passo coraggioso in un’Europa senza voce. Ha rifiutato di supportare l’embargo agli idrocarburi, che è disastroso per l’economia del suo Paese e le folli sanzioni conto gli ecclesiasti. I leader più ragionevoli degli Stati Ue sono stanchi di seguire la dannosa politica guidata dagli Usa“, ha aggiunto. Parole rafforzate ulteriormente dal presidente della Duma russa, Vyacheslav Volodin, che ha lanciato un messaggio chiaramente indirizzato ai Paesi più euroscettici o, comunque, critici nei confronti dell’attuale leadership europea: “Se gli Stati che sono oggi membri dell’Ue vogliono preservare la loro sovranità e sostenere gli interessi dei loro cittadini, hanno una sola opzione, che è uscire dall’Unione europea“. Parole mirate e legate alla recente proposta del Parlamento Ue in vista di una revisione dei Trattati che prevede anche l’eliminazione dell’unanimità (e quindi del diritto di veto) in sede di Consiglio Ue. Una riforma che, se venisse attuata, toglierebbe definitivamente potere al blocco sovranista su temi cari anche alla Russia. “In altre parole – ha infatti aggiunto Volodin – l’idea è di eliminare il diritto di veto dei Paesi membri dell’Ue. L’opinione dei singoli Stati e quella dei loro cittadini non verrà più presa in considerazione”.
L’EUROPA TIRA DRITTO: “SANZIONI SU GAS E PETROLIO” – Le istituzioni europee però non sembrano disposte alla contrattazione su questo tema, se non sulle tempistiche per rendere effettivo il bando alle risorse energetiche del Cremlino. La presidente del parlamento Ue, Roberta Metsola, ha colto gli obiettivi di Mosca e risposto indirettamente alle ultime dichiarazioni affermando che “il grave errore di Putin è stato pensare che le nostre differenze e la difesa dei diritti fondamentali fossero un segno di debolezza. Ha sbagliato. In democrazie come la nostra, questi sono i nostri punti di forza. Questo è il motivo per cui abbiamo accelerato verso la costruzione di una nuova unione della sicurezza e difesa”. Ed è passata al contrattacco: “Dobbiamo slegarci dalle nostre dipendenze dal Cremlino, metteremo fine alle importazioni di petrolio e gas – ha aggiunto – Continueremo con le sanzioni e gli aiuti all’Ucraina perché dobbiamo ricostruirla”.
Sulle stesse posizioni anche l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Josep Borrell: “Stiamo lavorando per arrivare a un accordo tra tutti i Paesi europei, per fermare l’importazione di petrolio dalla Russia. Si farà. E se non si fa presto, cioè entro questo fine settimana, dovrò far riunire il Consiglio dei ministri degli Affari esteri per avere un accordo politico”. E anche lui si è rivolto direttamente ai Paesi che sarebbero più colpiti da uno stop alle risorse energetiche russe, come appunto l’Ungheria, spiegando che il Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, “sta lavorando, stiamo cercando una soluzione che possa essere accettata da tutti, perché non tutti sono nella stessa situazione. Dobbiamo comprendere la situazione dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, di altri, ma dobbiamo arrivare a una soluzione veloce”.