Nel novembre del 2019 erano stati tutti condannati. Oggi la Corte d’appello di Milano ha ribaltato il verdetto di primo grado e assolto tutti gli imputati: dall’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari all’ex dg Antonio Vigni fino alle banche Deutsche Bank AG, la sua filiale londinese e Nomura, nel processo sul caso Mps con al centro le presunte irregolarità nelle operazioni di finanza strutturata, Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh, effettuate da Rocca Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta. Sono state revocate le confische agli enti per un totale di circa 150 milioni. Cuore del processo i derivati Alexandria, Santorini, il prestito ibrido Fresh e la cartolarizzazione Chianti Classico. Tutte operazioni che, per l’accusa, sarebbero servite per nascondere nel bilancio di Banca Mps ingenti perdite provocate dall’acquisizione di Antonveneta. Operazione costata a Rocca Salimbeni circa 10 miliardi di euro nel 2008.
A dare il via al processo erano stati gli esposti di alcuni risparmiatori. In secondo grado a scendere in campo sono state circa 1.400 parti civili, rappresentate da 94 legali. Tra queste non figura la Fondazione Mps, che a luglio ha raggiunto un accordo stragiudiziale con Rocca Salimbeni per 150 milioni di euro e ha ritirato la costituzione di parte civile. Nelle scorse udienze, il sostituto procuratore generale di Milano, Gemma Gualdi, aveva chiesto di confermare tutte le condanne emesse in primo grado. La rappresentante dell’accusa, tuttavia, ha limato leggermente le richieste di pena per i 13 imputati rispetto a quelle stabilite in primo grado nel novembre 2019, tenendo conto dell’intervenuta prescrizione per una serie di capi d’imputazione. Ridotta di 14 mesi rispetto alla condanna di primo grado anche la richiesta per l’ex presidente dell’istituto, Giuseppe Mussari. Il sostituto Pg ha sollecitato per lui una condanna a 6 anni e 4 mesi di reclusione, contro i 7 anni e 6 mesi stabiliti dai giudici di primo grado. I reati ipotizzati dall’accusa nei suoi confronti e di quelli di altri 12 imputati sono, a vario titolo, manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all’autorità di vigilanza.
“Va assolto da tutte le accuse”, aveva chiesto il suo difensore, l’avvocato Tullio Padovani al termine dell’arringa nel corso della quale aveva evidenziato “che Mussari era servito come un facile bersaglio da erigere a responsabile di un evento catastrofico”. Confische a sette zeri sono state sollecitate anche in secondo grado per Deutsche Bank e Nomura. Le due banche, finite a processo per violazioni della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, hanno affiancato Mps nell’ideazione e realizzazione delle operazioni finanziarie finite sotto la lente dei pm milanesi. In particolare, il tribunale aveva condannato Deutsche Bank Ag e Deutsche Bank London Branch alla confisca complessiva di 64 milioni di euro e una multa di 3 milioni di euro. Non era andata meglio al colosso giapponese Nomura: i giudici avevano disposto una confisca di 88 milioni di euro e una multa di 3,45 milioni di euro. Dal 2019, però, le due banche hanno già versato complessivamente 245 milioni di euro di risarcimenti. Sul banco degli imputati, invece, non compare Mps, che nel 2016 aveva patteggiato. Pesanti le pene sollecitate anche per gli altri ex vertici della banca senese. Per Antonio Vigni, ex direttore generale della banca, il sostituto Pg Gualdi ha chiesto una condanna a 6 anni (in primo grado la pena per lui era di 7 anni e 3 mesi), mentre per l’ex responsabile dell’area Finanza, Gianluca Baldassarri, il sostituto Pg ha puntato ad una condanna a 4 anni (contro i 4 anni e 8 mesi inflitti in primo grado). A processo sono finiti anche sei tra dirigenti ed ex dirigenti di Deutsche Bank e due di Nomura. I legali di tutti gli imputati hanno puntato invece sulla loro assoluzione. E i giudici del secondo grado hanno accolto la loro richiesta.
“Accolgo con estrema soddisfazione la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano, che ha certificato quanto abbiamo sempre sostenuto nel giudizio di primo grado e cioè che i miei assistiti abbiano agito con correttezza, nel rispetto del ruolo e delle competenze di ciascuno di essi. Dopo anni di indagini e processi – dice l’avvocato Giuseppe Iannaccone, difensore dei manager Deutsche Bank – con immenso dispendio di energie professionali e personali, abbiamo finalmente restituito loro la serenità”.