Trent’anni dopo su Capaci e via d’Amelio crediamo di sapere tutto: esecutori, mandanti e moventi. Ma è davvero così? Grazie a testimonianze esclusive e interviste inedite, il podcast del Fatto Quotidiano mette in fila tutti i misteri irrisolti degli attentati a Falcone e Borsellino. Quando la storia d’Italia è cambiata per sempre
La domanda senza risposta se la pongono subito, il 24 maggio del ’92. Il giorno dopo la strage di Capaci, Oscar Luigi Scalfaro prende la parola davanti al Parlamento riunito e dice: “Senza invadere il campo di chi deve investigare e far giustizia ci si chiede: ma è solo mafia, questa?”. Trent’anni dopo una risposta ancora non c’è.
Una versione pacificata – Quella domanda, infatti, lo Stato ha preferito metterla da parte. Sulle stragi si è costruita una narrazione ufficiale senza punti interrogativi: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati ammazzati da Cosa nostra – e solo da Cosa nostra – in segno di ritorsione. Col Maxiprocesso avevano fatto inceppare il rodato meccanismo dell’impunità per i boss, che quindi si sono vendicati. Ma poi sono stati puniti: Salvatore Riina e Bernardo Provenzano sono morti in galera, Giovanni Brusca e gli altri hanno beneficiato di sconti di pena ma solo dopo essere diventati pentiti. Gli eroi sono morti, ma lo Stato poi ha vinto. Una narrazione tragica e piena di pathos, una versione pacificata dei fatti, perfetta per le fiction della tv. Ma che ha un problema: non corrisponde alla verità. E infatti rischia di crollare sotto il peso di quello che emerge dalle indagini e dai processi.
Il podcast del Fatto Quotidiano – Sulle stragi, infatti, esistono ancora oggi enormi buchi di trama che questa rassicurante narrazione si limita a omettere: mandanti esterni mai individuati, piste investigative mai battute, moventi molto più complessi della semplice vendetta. È mettendo insieme tutti questi elementi che Mattanza racconta le stragi del ’92. Il podcast prodotto dal Fatto Quotidiano raccoglie le testimonianze di investigatori e testimoni, sopravvissuti e killer. È composto da 8 puntate: la prima esce oggi ed è disponibile gratuitamente su ilfattoquotidiano.it e su tutte le principali piattaforme (Spotify, Apple podcast e Amazon music). Mattanza si articola in due blocchi da quattro puntate ciascuno: il primo, che racconta le vicende legate a Falcone e alla strage di Capaci, verrà pubblicato nel mese di maggio, con una puntata nuova online ogni settimana. Il secondo, invece, ricostruisce i misteri della strage di via d’Amelio e verrà rilasciato nel mese di luglio.
Un anno di presagi – Mattanza ricostruisce i vari punti oscuri di quella stagione che fa da cerniera tra la Prima e la Seconda Repubblica. Prima di diventare l’anno di Tangentopoli e delle bombe, il ’92 è stato un anno di presagi. Nei primi giorni di marzo un detenuto del carcere di Firenze invia ai giudici di Bologna una lettera in cui parla di una “nuova strategia della tensione in Italia” che sarà attuata nei cinque mesi successivi, fino a luglio. In quel periodo – sostiene – “accadranno eventi intesi a destabilizzare l’ordine pubblico” e cioè esplosioni che colpiranno persone “comuni” in luoghi pubblici, il sequestro e l’eventuale “omicidio” di un esponente politico della Dc, il sequestro e l’eventuale “omicidio” del futuro Presidente della Repubblica. Passano pochi giorni e ammazzano Salvo Lima, il viceré siciliano di Giulio Andreotti. Chi l’ha scritta quella lettera? Elio Ciolini, un uomo legato all’estrema destra, condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. Come fa ad anticipare l’omicidio Lima, la strage di Capaci, quella di via d’Amelio? Come fa a parlare di esplosioni che colpiranno “persone comuni”, arrivando quindi a predire le stragi del ’93?
La genesi di tutto – E dire che quella di Falcone non doveva essere neanche una strage ma un semplice omicidio. Un commando guidato da Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano doveva colpire a Roma, dove il giudice girava con un protezione molto blanda. Poi però Riina cambia idea, richiama i suoi e spiega che bisogna tornare in Sicilia dove avevano trovato “cose più grosse”. Quali? Il pentito Gaspare Spatuzza individua in quel cambio di strategia un passaggio fondamentale: “La genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra”.
La firma delle stragi – Secondo l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, è l’intera fase di programmazione delle stragi che non appartiene a Cosa nostra: “Alla fine del ’91 – racconta – vi sono delle riunioni tra alcuni capimafia, che hanno la caratteristica di essere tutti massoni. Si comincia a discutere di un progetto molto complesso, che era stato suggerito dall’esterno. Le entità esterne ci mettono il software, il progetto politico, Cosa Nostra ci mette l’hardware, il braccio militare”. Sono le riunioni di Enna, quelle in cui Riina spiega ai suoi che era arrivato il momento di punire i nemici storici di Cosa nostra e pure gli ex amici, quelli che avevano tradito. Il capo dei capi dice anche un’altra cosa: gli omicidi e le stragi andranno rivendicati usando la firma della Falange Armata. È una sigla oscura che aveva esordito l’anno prima per rivendicare l’omicidio di un educatore carcerario a Milano. Poi aveva messo la firma sui delitti della Banda della Uno Bianca. Quindi spunta in Sicilia, a Enna, in bocca a Riina: chi gli ha suggerito usarla? A questa domanda, ancora oggi, non sappiamo rispondere.
Uomini cerniera – Quello che sappiamo è che nel dicembre del 1991 a Enna c’è pure un personaggio che non fa parte di Cosa Nostra. Si chiama Paolo Bellini ed è stato recentemente condannato all’ergastolo per la bomba alla stazione di Bologna. E’ famoso perché durante le stragi s’infiltra in Cosa nostra su ordine dei carabinieri: doveva recuperare opere d’arte rubate e in cambio offriva un miglioramento delle condizioni carcerarie per i mafiosi. Il suo “gancio” era un ex compagno di cella: Nino Gioè, uno che aveva fatto parte del commando di Capaci e che poi morirà in carcere, vittima di un suicidio che sa molto di omicidio. È Gioè che Bellini sostiene di aver contattato già nel dicembre del 1991, quando scende in Sicilia perché – sostiene – deve recuperare dei soldi. Deve andare a Palermo, ma per dormire sceglie di arrampicarsi tra tornanti e buche e fermarsi a Enna, la città più remota dell’isola, l’unico posto d’Italia dove in quei giorni nevica: che senso ha fermarsi lì? Trent’anni dopo le domande sulle stragi sono ancora tutte lì.