Lo chiamano Den’ Pobedi, “giorno della vittoria“. Il 9 maggio di ogni anno i russi ricordano l’anniversario della dichiarazione di resa nazista del 1945, al termine della Seconda guerra mondiale (più nota nel Paese come “Grande guerra patriottica”). Oltre che in Russia, la giornata è festa nazionale in tutte le ex Repubbliche sovietiche – compresa l’Ucraina, dove però si celebra l’8 maggio – e in altri Stati dell’ex blocco orientale, come Serbia, Romania e Bulgaria. Durante l’Urss e nei primi anni dopo la sua dissoluzione, le celebrazioni per il Den’ Pobedi si svolgevano in forma piuttosto modesta: è stato Vladimir Putin, dopo la sua ascesa al potere, a promuovere una campagna di rafforzamento dell’orgoglio patriottico russo basata – anche – sulle commemorazioni militari. E in particolare sulla tradizionale parata che si svolge il 9 maggio sulla Piazza Rossa di Mosca, su cui marciano plotoni di carri armati, missili, aerei e uomini e donne in divisa. Quest’anno, complice l’invasione in corso, si attende una dimostrazione di forza ancora più grandiosa: la mappa interattiva diffusa dal ministero della Difesa prevede la sfilata di 33 colonne in marcia di truppe, cadetti e membri delle agenzie di sicurezza. La colonna meccanizzata includerà 131 mezzi tra tank e sistemi di difesa missilistica, mentre quella aerea coinvolgerà 77 velivoli tra bombardieri, caccia ed elicotteri: il programma prevede che otto caccia MiG-29SMT si alzino in volo per disegnare in cielo la lettera “Z”, simbolo dell’offensiva.
Al termine della parata, Putin – che è anche capo dell’esercito – terrà il tradizionale discorso dalla tribuna allestita vicino al mausoleo di Lenin, circondato dai veterani. Da settimane, ormai, l’appuntamento è atteso come un potenziale spartiacque della guerra in Ucraina: la convinzione in Occidente è che il leader russo la userà per annunciare di aver raggiunto un obiettivo militare, probabilmente la conquista della città di Mariupol, dove i combattenti del battaglione Azov resistono barricati nelle acciaierie. D’altra parte proprio i militari di Azov sono uno degli obiettivi della “denazificazione” ucraina con cui il presidente russo ha giustificato la propria “operazione militare speciale”. Se Mariupol cadesse, inoltre, Putin potrebbe dire di aver preso il controllo di tutto il Donbass (oltre che della Crimea, nelle sue mani dal 2014) e sostenere di aver raggiunto lo scopo dell’invasione. Un’altra ipotesi, al contrario, è che Putin accusi l’Occidente di ingerenze nel conflitto, dichiari ufficialmente la guerra – non solo all’Ucraina, ma anche alla Nato – e ordini la mobilitazione generale di tutta la nazione. Ma le difficoltà incontrate finora nell’avanzata e il sempre maggior peso delle sanzioni occidentali rendono poco probabile questa svolta.