Alcuni esercenti milanesi protestano contro le società che emettono i buoni pasto: lamentano la trattenuta di percentuali troppo alte, sempre più difficili da sostenere ora che lo smart working ha aumentato la quota di lavoratori che pranza a casa. Oggi le aziende dei ticket trattengono una cifra tra il 10 e il 20% del potenziale incasso, si legge sull’edizione milanese del Corriere: una perdita economica rilevante per il ristoratore. E gli incassi sono ritardati, dai 30 giorni in su. A questo bisogna aggiungere il canone per il pos.
Il proprietario del ristorante Globe Bruno Marsico ha raccontato di aver deciso di “non cedere al ricatto” e di aver offerto uno sconto del 7% a chi non usa i ticket perché “così non conviene a nessuno”. “Per evitare di perderci devo offrire un piatto che valga quello che è il reale incasso che prendo da chi paga col ticket”, aggiunge Giuseppe Gissi, che a Milano gestisce le Tre Marie in viale Piave ed altri tre locali. “È un meccanismo che subiamo in modo irreversibile: ci sono società come Pellegrini che chiedono solo il 7%, ma altre, come Sodexo o EdenRed che tra costi fissi e variabili prendono più del doppio. E il trend è quello”. “Nel nostro settore” ha aggiunto, “in questo momento tutti, dal governo in giù, stanno cercando di dare una mano perché il sistema riparta. Sarebbe il momento anche per le società che emettono buoni pasto di dare un segnale”.
In alcune zone della città, i buoni pasto valgono il 70% del fatturato di bar e ristoranti e le marginalità sono già di per sé ridotte a causa dei costi dell’energia e delle materie prime in generale. Il direttore dell’Associazione Provinciale Milanese Pubblici Esercizi (Epam) ha spiegato che l’aumento delle percentuali sui ticket fa “perdere il valore d’acquisto” e che “finisce per danneggiare più di tutti il consumatore”.