A poco più di un mese dal verdetto ecco che la Cassazione deposita le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 4 aprile ha sancito che Stefano Cucchi fu ucciso e che due imputati sono responsabili di omicidio preterintenzionale. Per i supremi giudici il “pestaggio” del geometra romano avvenuto nella caserma dei carabinieri di Roma Casilina, la notte del 16 ottobre 2009, è stata la “causa primigenia” di una serie di “fattori sopravvenuti”, tra i quali le “negligenti omissioni dei sanitari“, che ha causato la morte del 34enne che era stato arrestato per droga.

Gli ermellini ricordano che la sentenza impugnata, “come già quella di primo grado, ha ricostruito l’intera catena causale che ha portato al decesso del Cucchi, riconducendone l’origine alla condotta tenuta in concorso dal Di Bernardo e dal D’Alessandro, ma riconoscendo che l’evento finale è stato determinato anche dal concorso di una pluralità di fattori sopravvenuti, la cui sinergia, con quella che ha identificato come la causa primigenia, ha ritenuto aver favorito il processo degenerativo esitato nello scompenso cardiaco risultato fatale alla vittima. In particolare, la Corte, sulla base dell’evidenza disponibile, ha accertato anzitutto che le percosse inflitte dai due imputati al Cucchi ne abbiano determinato la caduta ed il violento impatto con il pavimento, stabilendo che quest’ultimo ha provocato la frattura della vertebra sacrale, poi identificata come l’innesco del successivo decorso causale”. Un decorso che ha portato Cucchi a spegnersi dopo una settimana all’ospedale Pertini di Roma.

“La questione della prevedibilità dell’evento” delle lesioni e poi della morte, nel caso del pestaggio subito da Cucchi per mano dei militari dell’Arma per i giudici “è certamente fuori discussione, date le modalità con le quali gli imputati hanno percosso la vittima, con colpi violenti al volto e in zona sacrale, ossia in modo idoneo a generare lesioni interne che chiunque è in grado di rappresentarsi come prevedibile conseguenza di tale azione”. Che il pestaggio sia avvenuto in caserma viene sottolineato più volte. I giudici ricordano come la la corte “ha sottolineato come al momento della perquisizione domiciliare, alla presenza dei suoi genitori, il Cucchi non presentasse evidenze di essere stato sottoposto a violenze di alcun genere, mentre, per come riferito” da uno dei testi “al momento del suo ingresso nella caserma di Tor Sapienza, reduce dal passaggio effettuato in quella di Roma Casilina dove era stato condotto al termine della perquisizione, accusava forti dolori, tanto da rendere necessario l’intervento del 118, il cui personale riscontrava segni palesi dei colpi ricevuti dalla vittima al volto”.

C’è poi il capitolo delle cure non ricevute da Cucchi. Come è noto per quattro medici dell’ospedale Pertini – il 12 novembre 2019 – è arrivata una sentenza di non luogo a procedere per prescrizione, per un quinto l’assoluzione. “Un fallimento della giustizia” scrissero in motivazioni i magistrati. Secondo quei giudici un “monitoraggio in continuo” delle sue condizioni di salute “avrebbe potuto consentire, all’insorgere della crisi cardiaca, un intervento rianimatorio che avrebbe anche potuto consentirgli di superarla. Occorre considerare che il Cucchi versava già da tempo nelle condizioni di grave denutrizione e disidratazione che conosciamo e tuttavia manteneva un equilibrio che gli consentiva di tollerarla”. E quindi la Cassazione ricorda “che i giudici del merito non hanno escluso – ed anzi hanno affermato – che nel caso concreto la struttura della spiegazione causale (della morte, ndr) sia complessa e possa contemplare anche le negligenti omissioni dei sanitari ed il progressivo indebolimento dell’organismo del Cucchi determinato dalla prolungata carenza di alimentazione e di idratazione…”. Anche se è stata “la progressione della serie causale … innescata” dagli imputati a portare all’evento finale. I “violenti colpi al volto e in zona sacrale, ossia in modo idoneo a generare lesioni interne” non potevano che avere delle conseguenze perfettamente prevedibili.

“Conseguentemente prevedibile è che dalle stesse possa innescarsi un processo degenerativo in grado di avere esiti anche letali, rimanendo escluso che comunque l’agente debba potersi rappresentare l’esatto decorso causale concretamente realizzatosi, ovvero che la vittima debba ricorrere a cure mediche e che queste possano essere, per negligenza o imperizia, omesse o non correttamente prestate”. Gli ermellini ricordano anche che dalle sentenze precedenti “emerge chiaramente come i due giudicanti abbiano imputato la mancata alimentazione e idratazione non solo (o non tanto) all’asserito atteggiamento ostruzionistico del Cucchi, ma anche (o piuttosto) al grave e complesso quadro lesivo causato dal pestaggio di cui era stato vittima”. Cucchi non mangiava e non beveva perché, dopo tutte le botte ricevute (spinta da Di Bernando e calcio da D’Alessandro, ndr), non era in grado di farlo. L’intenzione dei due militari, sottolinea la Cassazione riferendosi ai giudici di merito, era di “punire” la vittima per il suo atteggiamento. “Uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare
l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento“.

La corte ha condannato a 12 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. I due si sono consegnati in carcere poche ore dopo la sentenza. Per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere, ci sarà un nuovo giudizio di secondo grado. Ma su queste due condanne c’è il rischio della prescrizione sull’appello bis, come aveva confermato uno dei legali, Eugenio Pini. Secondo i calcoli degli ermellini la prescrizione del reato
si compirà non prima del 25 luglio 2022. I giudici dell’appello quindi dovranno pronunciarsi entro quella data affinché questo processo non termini come quello sulle responsabilità mediche. Sul punto l’avvocato di Mandolini all’Adnkronos dice: “La lettura delle motivazioni della Cassazione mi induce a riflettere con molta serietà sulla prospettiva di rinunciare alla prescrizione e di affrontare il giudizio di merito: questo sarà il consiglio che darò a Mandolini. Con le motivazioni depositate oggi vengono posti paletti insuperabili. Una sentenza che accoglie tutti i motivi di ricorso che abbiamo rappresentato. Conferma che la annotazione dei due carabinieri nel verbale di arresto non era necessaria e che l’omissione non era finalizzata a dare loro una copertura preventiva – spiega Naso – È evidente che ci sono discrasie cosi macroscopiche che non possono essere il frutto di una manipolazione preordinata bensì del momento”.

“Per me e per la mia famiglia si chiude un capitolo estremamente doloroso. Leggere nero su bianco che gli assassini di mio fratello sono stati condannati in via definitiva ripaga di tanti anni di sofferenze, non certamente per spirito di vendetta ma di giustizia – dice Ilaria Cucchi – Per quanto riguarda Mandolini, al di là delle dichiarazioni del suo difensore, con il deposito così rapido delle motivazioni gli direi di non cantare vittoria, forse non può contare sulla prescrizione. In ogni caso è stato riconosciuto e nessuno potrà più negare che Stefano Cucchi è morto per il violentissimo pestaggio subito”.

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