Le forze ucraine annunciano la riconquista di alcuni territori attorno a Kherson, nell’Ucraina meridionale, e promettono la liberazione dell’intera regione. Da Mosca assicurano: “Siamo qui per restare”, per citare le parole del senatore russo Andrey Turchak. In mezzo ci sono le vite degli abitanti della regione di Kherson, che prima dell’occupazione russa contava un milione di abitanti. “Viviamo come in una grande prigione”, racconta Tatjana. Ha 40 anni e vive nel centro del capoluogo. Qui per settimane non sono arrivati rifornimenti di farmaci e prodotti alimentari. Anche oggi non ci sono collegamenti con il resto dell’Ucraina, ma nel frattempo sugli scaffali sono comparsi prodotti importati dalla Crimea.

Per due mesi la città di Kherson è andata avanti svuotando i depositi dalle scorte, mentre in campagna le persone hanno iniziato a soffrire la fame già nelle prime settimane dell’invasione. “Raggiungere i paesi attorno a Kherson è difficile. Spesso non lasciano passare nemmeno noi volontari. Chi abita in campagna è totalmente isolato, in molti paesi mancano luce e gas perché gli impianti sono stati distrutti nei bombardamenti. I negozi alimentari sono stati svuotati nei primi giorni di guerra. Manca tutto, le persone muoiono di fame e per la mancanza di medicinali”, racconta Olga, una volontaria di Kherson.

In campagna si soffrono infatti le conseguenze peggiori della guerra. Alcuni villaggi – come Velyka Aleksandrovka o Chernobayvka – sono stati rasi al suolo nei combattimenti. Ma soffre anche la città, dove da settimane scarseggiano i medicinali e molti alimenti. Quelli che ci sono hanno i prezzi triplicati e sono inavvicinabili per chi non percepisce lo stipendio da più di due mesi, come molti abitanti di Kherson che con l’invasione hanno perso il lavoro. Già a fine marzo le autorità ucraine denunciavano il pericolo di una catastrofe umanitaria a Kherson per la mancanza di approvvigionamenti. “Tantissimi negozi hanno chiuso, hanno tirato giù le serrande anche le catene alimentari più grosse perché non avevano più nulla da vendere”, racconta Natalja, una farmacista.

Da qualche settimana però i russi hanno iniziato a immettere sul mercato prodotti provenienti dalla Crimea. “Stanno portando da lì cibo, soprattutto cereali, e farmaci. Ormai anche alcune farmacie vendono medicinali dalla Crimea. Non tutti accettano di vendere o di acquistare questi prodotti, ma chi ha davvero bisogno ovviamente finisce per comprarli”, continua la farmacista che assicura, come tutti gli altri con cui parliamo, di non aver ancora mai visto i rubli, la cui introduzione a Kherson era stata annunciata dal primo di maggio.

In questi due mesi di occupazione, la città si è svuotata gradualmente. Tanti sono fuggiti soprattutto tra la fase 1 e la fase 2 del conflitto, quando i posti di blocco erano diventati più elastici. Oggi tentare la fuga è diventato impossibile. La morsa attorno alla città è tornata ad essere molto stretta. Delle persone con cui siamo stati in contatto in questi mesi, in tanti affermano di non essere più a Kherson. Tra questi Tanjia che ha lasciato la città insieme alle sue due figlie e ora si trova a Odessa. “Per ora preferisco vivere qui con le sirene d’allarme e i bombardamenti, che sotto occupazione russa, con il rischio da un momento all’altro di vedermi entrare in casa gli occupanti o la paura che le mie figlie possano essere violentate”, dice la donna, motivando la sua scelta.

Chi è rimasto, nonostante tutto, non ha ancora perso la fiducia e spera in una riconquista da parte ucraina, anche se non mancano momenti di sconforto, visto l’incertezza in cui si vive. Anna, un’altra abitante di Kherson, dice: “Ci sentiamo come se fossimo sotto a una cupola, che piano piano si sta abbassando e, man mano che si abbassa, l’ossigeno diventa sempre più scarso. Ogni giorno però ringraziamo di essere vivi. Siamo sicuri che non ci hanno abbandonato. In questo momento il lavoro dei nostri militari è vitale in altre città ucraine più colpite dalla guerra. Ma sono sicura che poi verranno qui per liberarci. Non so quando, ma spero il prima possibile”. “A volte la speranza vacilla, tra voci di referendum e disconnessione della rete, ma poi cerco di rimanere lucida e continuo a credere che presto Kherson tornerà a essere quella di sempre: una città ucraina”, conclude Tatjana.

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