Mario Draghi è negli Stati Uniti per incontrare il presidente Biden e per ricevere il “Distinguished Leadership Award” da parte dell’Atlantic Council. Questo riconoscimento celebra “le persone con i risultati più alti che incarnano l’essenza dei pilastri delle relazioni transatlantiche” e ogni anno “salutano un gruppo esemplare di individui che hanno contribuito alla missione dell’Atlantic Council di plasmare insieme il futuro globale”.
Draghi riceverà questo premio insieme a due ucraini e al presidente dell’Eni. Direi che mai premio è stato più meritato.
Quest’anno infatti il riconoscimento, con ogni evidenza, premia i più fedeli alleati nella guerra globale scatenata dagli Stati Uniti in risposta alla guerra regionale cominciata da Putin. Se il riconoscimento all’Ucraina non ha bisogno di spiegazioni, più interessante è cogliere le ragioni del riconoscimento a Draghi. Il punto mi pare evidentissimo: tra i “grandi” paesi europei, l’Italia è l’unica completamente sdraiata sulla posizione statunitense.
Vediamo i fatti. Il premier tedesco, nel mese di febbraio, ha tentato di scongiurare il conflitto attraverso una mediazione tra la Russia e l’Ucraina. Mediazione fatta saltare da Zelensky e dagli Usa. In questi mesi, dopo aver manifestato resistenze sulla fornitura di armi pesanti all’Ucraina, si trova oggetto di contestazioni interne – dalla destra e da parte dei verdi – per una posizione ritenuta troppo morbida nei confronti della Russia.
Macron da parte sua si è ritagliato più volte il ruolo di “correttore” delle dichiarazioni del presidente Usa e ha sostenuto la necessità di non demonizzare la Russia. Un ruolo quindi senza particolare rilevanza pratica ma che punta ad attenuare i toni dello scontro.
Si badi, stiamo parlando in entrambi i casi di comportamenti “omeopatici”, in cui i distinguo sono poco rilevanti e non assumono ma il profilo di una narrazione o di una proposta di diversa gestione della crisi. Purtuttavia qualcosa di diverso si sente…
Da parte italiana l’unica cosa che abbiamo sentito è la scelta di Draghi – e di Letta – sin dal primo discorso al Senato, di sbarrare la strada alla trattativa per incamminarsi sulla strada della fornitura di armi e quindi di “vincere la guerra”. In tutta questa vicenda il governo italiano è stato completamente appiattito sulle scelte degli Usa senza proferir parola nemmeno quando in modo scandaloso il presidente della Nato ha contraddetto Zelensky in merito alla possibilità di un compromesso sulla Crimea.
In queste settimane tutta la tradizione italiana fondata sul ruolo geopolitico del nostro paese e quindi attenta alla mediazione sul piano internazionale – nel Mediterraneo come nei confronti dei paesi dell’Est – è stata seppellita e sbeffeggiata. Chi diceva cose di buon senso veniva tacciato di essere un “sostenitore di Putin”. Si badi che quella seppellita in queste settimane non è una tendenza propria solo della sinistra ma coinvolgeva parti rilevantissime dell’establishment del paese, basti pensare ad Andreotti e Craxi. Non è nemmeno un caso che tra le poche voci dissonanti che abbiamo sentito in questi giorni hanno spiccato per lucidità quelle di alcuni generali – in pensione – certo non sospettabili di simpatie bolsceviche o pacifiste.
Quella che viene premiata dagli Usa è quindi la capacità di Draghi di portare l’Italia ad un comportamento totalmente contrario agli interessi del nostro paese ed in piena contraddizione con la sua tradizione politica. Viene premiata la genuflessione agli interessi Statunitensi. Che questo avvenga per le ambizioni personali di Draghi o per calcolo politico, poco importa: il risultato non cambia ed è disastroso per il nostro paese e per il mondo intero.
Per questo domani, l’11 maggio, in piazza Santi Apostoli il gruppo parlamentare di Manifesta ha meritoriamente convocato una iniziativa a cui ha invitato tutti i parlamentari, le forze politiche, sociali e culturali disponibili ad una azione unitaria contro la guerra. Le parlamentari di “Manifesta” chiedono che il Parlamento agisca nel rispetto di cosa pensa la maggioranza degli italiani.
Questa è l’urgenza oggi: unire le forze per mettere Draghi in minoranza e far cadere questo governo che ci ha portato in una guerra che non produce solo morti ma anche una gravissima crisi economica che gli strati popolari del nostro paese stanno già cominciando a pagare.
Per questo parteciperò convintamente alla mobilitazione di domani e per questo chiedo a tutti i parlamentari che non vogliono la guerra, alle forze politiche – a partire dai 5 stelle e dalle Lega – che di tanto in tanto dicono una parola diversa, che cosa aspettano a togliere la spina al banchiere con l’elmetto?
Se il governo italiano cadesse sulla guerra questo avrebbe un effetto rilevantissimo in Europa e potrebbe cambiare il corso degli eventi. Aprirebbe tali contraddizioni nel fronte guerrafondaio da aprire finalmente la strada alla trattativa.
Far cadere il governo Draghi è il principale atto d’amore per la pace e per il popolo italiano che si può fare oggi.