A un anno dalla sentenza di incostituzionalità sull’ergastolo ostativo nulla è cambiato. E la Consulta dovrà decidere come procedere. Prendendo atto che il Parlamento in un anno non è riuscito a modificare la legge, anche se il traguardo potrebbe essere vicino, e dunque dichiarare illegittima la norma introdotta dopo le stragi di mafia che impedisce la concessione della libertà condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo. Oppure dare ancora fiducia e tempo alle Camere, rinviando la propria pronuncia. Oggi scade il termine fissato l’11 maggio dello scorso anno al legislatore per il suo intervento e la questione torna all’esame dei giudici costituzionalisti, seconda tra le cause che saranno discusse dai giudici costituzionali in udienza pubblica. Due settimane fa la commissione parlamentare Antimafia aveva votato all’unanimità una relazione con indicazioni già recepite alla Camera e ora all’esame del Senato.
L’attesa è grande e c’è chi spera nel rinvio. Come la Commissione Giustizia del Senato che ha all’esame la proposta di riforma approvata dalla Camera e che potrebbe licenziare il testo a fine mese, come sostiene il relatore Franco Mirabelli (Pd). Una richiesta formale di slittamento è stata avanzata alla Consulta, proprio alla luce dei lavori parlamentari, dall’Avvocatura dello Stato, che si è costituita in giudizio per conto del governo. Ma all’ipotesi di posticipare ancora la decisione sul merito si oppone l’avvocata Giovanna Beatrice Araniti, legale dell’ergastolano al centro del caso da cui è scaturito tutto. Oggii le parti ribadiranno in udienza le loro ragioni. E subito dopo i giudici si ritireranno in camera di consiglio per decidere sull’istanza di rinvio.
Se venisse respinta, sarebbe inevitabile la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario e delle altre norme che impediscono di concedere la liberazione condizionale, dopo 26 anni di reclusione, a chi è condannato all’ergastolo ostativo, se non collabora. Perché la Corte lo ha già detto un anno fa: quelle disposizioni sono incompatibili con la finalità rieducativa della pena, affermata dalla Costituzione. Allora la Consulta si fermò a un passo dalla decisione, per spirito di “leale collaborazione” con il Parlamento, nella convinzione che un intervento solo “demolitorio” avrebbe potuto indebolire il contrasto alla mafia.