Quello di Bongbong è stato un trionfo. Con il 90% circa di schede conteggiate, il figlio del defunto ex presidente ha ottenuto 28,8 milioni di voti, più del doppio di quelli della sua rivale, la vicepresidente Leni Robredo. Un risultato ottenuto soprattutto grazie all'alleanza con la potente famiglia Duterte e alla campagna di disinformazione che da anni viene condotta sui social per ripulire l'immagine della famiglia
Il tempo sembra aver cancellato il ricordo dei crimini, delle torture, della dittatura, della corruzione e delle ruberie nelle Filippine. Dopo 36 anni dal rovesciamento popolare del regime di Ferdinand Marcos, il figlio Ferdinand Marcos Jr., detto Bongbong, diventerà il prossimo presidente del Paese raccogliendo così l’eredità di Rodrigo Duterte. Sembrano così lontani, e in effetti lo sono, gli anni in cui il Paese soffriva la dura repressione della dittatura, con gli oppositori politici arrestati, torturati, costretti all’esilio e in alcuni casi anche uccisi. I tempi in cui un Paese in piena crisi economica, mai veramente superata, doveva assistere alla concentrazione della ricchezza nelle mani di una sola famiglia, capace di mettere crearsi un patrimonio stimato di oltre 10 miliardi di dollari, dei quali ne furono recuperati solo 4, tra lusso sfrenato, viaggi in tutto il mondo e la celebre collezione di oltre 3mila paia di scarpe firmate della madre Imelda. Oggi, grazie all’alleanza con la famiglia Duterte e a una campagna di disinformazione lunga anni, il figlio del dittatore torna a Palazzo Malacañan.
Quello di Bongbong è stato un trionfo. Con il 90% circa di schede conteggiate, il figlio del defunto ex presidente ha ottenuto 28,8 milioni di voti, più del doppio di quelli della sua rivale, la vicepresidente Leni Robredo. La sua vittoria, però, non può essere considerata un ritorno improvviso sulla scena politica. Dopo il colpo di Stato del 1986 e il conseguente esilio alle Hawaii, dove il padre morì tre anni dopo, Ferdinand Jr. iniziò immediatamente la sua opera di riabilitazione della famiglia nel panorama politico filippino. Nel 1991 gli venne permesso di tornare nel Paese e un anno dopo era già riuscito ad entrare in Parlamento, dove dal 2010 al 2016 ha occupato uno scranno da senatore.
Questa presenza nella sfera politica nazionale, nonostante il passato che ha coinvolto la sua famiglia, ha diverse spiegazioni. Innanzitutto, l’alleanza stretta con la potente famiglia Duterte, quella del presidente uscente. Un matrimonio che abbraccia i territori feudo dei Marcos, nelle province di Ilocos Norte e Leyte, fino a quelli dei Duterte, a Mindanao. Essere sponsorizzato dal presidente uscente, molto amato nonostante le critiche per il pugno di ferro con il quale ha guidato il Paese, gli ha garantito un enorme vantaggio rispetto alla sfidante.
In secondo luogo, lo sdoganamento della figura di Bongbong è il risultato di una campagna mediatica, soprattutto sui social, di disinformazione che ha avuto il doppio scopo di ripulire l’immagine della famiglia Marcos, arrivando a definire gli anni fino al 1986 come un’età dell’oro mai più ritrovata, e di screditare i possibili rivali. Una campagna fatta di video fabbricati ad arte e pubblicati su Youtube e su piattaforme Facebook legate alla famiglia che ha convinto milioni di filippini che le denunce pre-golpe non erano altro che una vasta opera di diffamazione nei confronti del regime. Versioni che negano le appropriazioni indebite, la corruzione e le violenze riuscendo a convincere la popolazione. Solo sulle loro ricchezze non vi è stata alcuna negazione, ma ‘solo’ un’opera di revisionismo storico: sono custodite, dicono, in conti offshore o in bunker segreti sotto forma di lingotti d’oro in attesa di essere destinati nuovamente alle esigenze del popolo filippino. È così che Marcos si è trasformato da erede della dittatura a simbolo del cambiamento.