Flash del giorno dopo. Sintesi del temutissimo 9 maggio russo? Intanto, a rovinare la festa per il Giorno della Vittoria, c’è stato un perfido cyberattacco che ha colpito i canali delle tv russe, qualche ora prima della sfilata. Sono apparsi messaggi antibellici: “La televisione e il governo mentono. No alla guerra!”. “Il sangue di migliaia di ucraini e di centinaia dei loro figli è sulle vostre mani”. Il blitz è cominciato domenica sera e si è concluso verso le 11 di lunedì, poco prima del cauto discorso di Putin, in cui celebrava il Giorno della Vittoria senza alcuna vittoria da offrire al popolo russo. Senza la minacciosa mobilitazione generale. Senza l’annuncio di nuovi obiettivi militari. Senza l’atteso e pubblicizzato sorvolo simbolico della pattuglia acrobatica sulla Piazza Rossa, otto Mig 29 SMT che avrebbero dovuto disegnare nel cielo la “Z”, emblema dell’Operazione Militare Speciale e del nuovo aggressivo nazionalismo russo. Non c’erano le condizioni meteo ideali, è stata la spiegazione ufficiale, ed in effetti si intravedevano ammassi nuvolosi pronti ad incupire il cielo sopra Mosca.
I grossi stratocumuli hanno dunque impedito l’esibizione di 130 aerei ed elicotteri, la sfilata è apparsa ridimensionata del 35 per cento, secondo le valutazioni di Forbes, se la confrontiamo con le manifestazioni pantagrueliche del passato. Altro segnale di un certo imbarazzo delle autorità, l’annullamento delle parate nautiche di Sebastopoli, San Pietroburgo e Vladivostok, giudicate inopportune perché avrebbero fatto ricordare l’affondamento dell’incrociatore Moskva e di altre navi. Necessità spacciata per sobrietà, e per rispetto delle vittime. Già, perché il presidente russo ha ammesso, per la prima volta, il dramma delle perdite: “La morte di ognuno dei nostri soldati e dei nostri ufficiali è un dolore che grava su tutti noi, lo Stato farà di tutto per aiutare le famiglie, e darà un supporto speciale ai bambini delle vittime e ai nostri compagni feriti”. Eloquenti gli sguardi abbassati dei generali che circondavano il capo del Cremlino, unico civile sul palco presidenziale.
A rifletterci sopra il giorno dopo, l’impressione che emerge è quella di aver assistito ad una recita improvvisata all’ultimo momento. Neanche Mariupol poteva essere esibita come trofeo. E l’Operazione Speciale che doveva essere una sorta di parata tra il tripudio degli ucraini, si è rivelata un azzardo, una serie di calcoli sbagliati, di valutazioni assai imprecise. Pure l’architettura ideologica si è basata su precarie fondamenta. Mestiere difficile quello di giustificare una realtà che è basata su paranoie e pretesti impresentabili. Le vecchie menzogne non fanno nuove “verità”.
Uno dei messaggi che traspaiono dal discorso putiniano è che la Russia è isolata, ma combattiva. Isolata, sottinteso, per colpa dei “nemici” che la vogliono “invadere”. Distruggere. Annientare. Narrazione esasperata. Ma con poca enfasi trionfalistica, e poca retorica nazionalista. Del resto, che poteva offrire di più Putin, se non parole e promesse di difendere la patria? Così parlò Putinhustra… Si è avvolto nella bandiera del patriottismo, si è servito di immagini che per lui sono incubi ricorrenti: la Russia stava per essere invasa, “era di fronte ad una minaccia inaccettabile”, per questo “ha risposto preventivamente all’aggressione”.
Ha replicato i canoni demagogici degli ultimi mesi, accusando il cattivo e degradato Occidente, cioè noi, di essere i responsabili dell’attuale situazione, mentre la Russia aveva tentato di tutto per evitare il ricorso alle armi, e l’espressione, più dimessa che grave, con cui lo affermava pareva una parodia crozziana, ed è stato impagabile quando ha insistito sulle nostre presunte nequizie sostenendo che noi pessimi debosciati del Far West vogliamo “annullare i valori tradizionali millenari della Russia”, forse Putin è furioso perché molti (anche in Russia) preferiscono le serie di Apple Tv, Disney e Netflix ai programmi di Russia Today o del Canale 1 dove la politologa Elena Ponomareva ha detto che è in atto una campagna di “antisemitismo contro la Russia”; o, forse, Putin si è irritato nello scoprire che non siano andati a ruba i numeri della rivista Argumenty I Fakty, dove dal maggio 2020 al novembre 2021 sono state ospitate ponderose interviste all’eminenza grigia del Cremlino, il potente segretario del Consiglio di Sicurezza russo Nikolai Platonov Patrucev, l’uomo dell’ombra: un ipernazionalista e nemico dell’Occidente il quale sussurra che fare (ricordate il libriccino di Lenin?) all’orecchio del quasi coetaneo Putin (il presidente russo è del 1951, Patruscev dell’anno dopo), entrambi “peters”, come a Mosca chiamano la cricca del regime perché in gran parte originari di San Pietroburgo.
Dovreste vedere il venerdì sera l’allegra brigata di deputati, ministri e alti funzionari del Cremlino riempire l’Andrei Rublev, il treno ad alta velocità che unisce le due capitali, ed affollare il bar del vagone ristorante per far bisboccia. Lo posso testimoniare…
Ma torniamo al lunedì che avrebbe dovuto essere fatidico per il genere umano, secondo gli spauracchi sventolati dai pacifisti (soprattutto nostrani) annuncianti l’apocalisse se Kiev non deponeva le armi e provava a far pace con Mosca. Stanotte, dopo le parole putiniane – le più caute delle ultime settimane – abbiamo dormito più tranquilli. E stamani, sbirciando dalle finestre, non abbiamo intravisto sinistri funghi atomici o scie missilistiche. Il bollettino radio, in questa settantottesima giornata di guerra, resta lo stesso. In Ucraina, infatti, il sangue scorre come sempre. Sul fronte militare, i russi le danno. I russi le prendono. L’invasione dell’Ucraina continua ad essere per Putin una non guerra.
Ogni tanto scrutavo Putin per vedere se il suo naso cresceva come quello di Pinocchio quando diceva che la “Russia ha fatto di tutto per evitare il conflitto”, usando gli strumenti diplomatici. Il che non è vero. Chiedete a Macron. E a tutti coloro che hanno chiamato il Cremlino per indurre la Russia alle trattative, dopo il plateale fallimento di quelle sponsorizzate da Erdogan. Semmai, è vero che questo intransigente atteggiamento russo ha radicalizzato la controparte della Casa Bianca, in una gara a chi ce l’ha più lungo e duro.
Il Giorno della Vittoria è stato insomma il Giorno della Sconfitta. Anche dei cremlinologi: hanno toppato le loro circostanziate e pessimistiche previsioni. Putin li ha spiazzati. Niente escalation. Nessuna dichiarazione ufficiale di guerra all’Ucraina. Anzi, non ha mai citato la parola Ucraina. Ha rivendicato la solidarietà coi veterani della seconda guerra mondiale in tutto il mondo, ha detto di avere invitato anche quelli americani che non sono venuti, ha ribadito il ruolo della Russia come rifugio multietnico. Ma ha zittito le cassandre della catastrofe nucleare: “L’orrore della guerra globale non deve ripetersi”.
In ultima analisi, il discorso di Putin è stato un perfetto esempio di manipolazione della realtà, in cui si avalla la tesi assai ardita che l’Occidente voleva invadere la Russia, peraltro già in circolazione nel web italiano, che di quelli occidentali è il più “inquinato” dalla propaganda del Cremlino (non dobbiamo escludere che tutto ciò sia determinato dai colossali intrecci economici italiani – soprattutto padani – che hanno accalappiato l’Italia, certe sue parti politiche e le mafie, la ‘ndrangheta, in particolare).
Qualcuno potrebbe ipotizzare che dietro l’apparente cautela di Putin si celi un vivace dibattito nelle segrete stanze del Cremlino, in cui intravedere la lotta tra “falchi” e “colombe”, condizionata dai dati critici sull’economia, dall’ambiguità cinese (l’altro giorno quatti quatti quelli della Xiaomei e della Lenovo hanno abbandonato gli uffici di Mosca), dalle sanzioni sempre più incalzanti e pervasive, dal palese malcontento degli oligarchi, dal fatto che le risorse provenienti dalle vendite di gas e petrolio sono dirottate per sostenere “l’Armata Potemkin”, un esercito minato dalla corruzione e dall’inefficienza.
Al mesto Putin, ha risposto in modo sferzante John Kirby, portavoce del Pentagono: “Abbiamo sentito le stesse spacconate, le stesse falsità, le stesse bugie in termini di retorica, che abbiamo sentito fin dall’inizio”. Zelensky, sempre più nel ruolo di difensore della democrazia e della sovranità non solo ucraina, è stato più immaginifico e comunicativo: “Stiamo lottando per la libertà dei nostri figli e quindi vinceremo. Non dimenticheremo mai cosa fecero i nostri antenati durante la Seconda Guerra Mondiale, che uccise più di 8 milioni di ucraini. Molto presto ci saranno due Giorni della Vittoria in Ucraina mentre qualcuno non ne avrà nessuna”. Il mondo era spaventato dall’Orso russo. Ha scoperto un Orso di Cartapesta, grazie alla inaspettata resistenza di Kiev e ai consistenti aiuti militari dell’Occidente coalizzato contro Mosca. Almeno, lo spera.