“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”. La ‘ndrangheta ha aperto ufficialmente bottega nella capitale. Un’informazione che ormai circolava da tempo dagli addetti ai lavori ma che ha trovato conferma ufficiale solo oggi con l’inchiesta “Propaggine”, che ha portato a due ordinanze di custodia cautelare emesse dai gip su richiesta delle Dda di Roma e di Reggio Calabria. Nel filone calabrese dell’indagine, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri è finito agli arresti domiciliari anche un politico, il sindaco di Cosoleto Antonino Gioffré, accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Nel paesino nella piana di Gioia Tauro, sotto l’influenza della cosca Alvaro, il sindaco, eletto con la lista civica “Alleanza per i valori”, in sostanza avrebbe favorito l’assunzione di un altro soggetto indagato.

Il filone calabrese – Complessivamente, 29 sono le persone finite in carcere mentre cinque i soggetti per i quali il gip ha disposto gli arresti domiciliari. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. In manette sono finiti i vertici della cosca Alvaro. Oltre al sindaco di Cosoleto, Antonino Gioffré, ai domiciliari, sono stati arrestati Carmine Alvaro detto ‘u cuvertuni’, ritenuto il capo locale di Sinopoli. In manette anche i capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto ‘ciccio testazza’, Antonio Alvaro detto ‘u massaru’, Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’ e Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’. Nel troncone reggino dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, si è riusciti a dimostrare come i tentacoli della cosca Alvaro-Penna si sarebbero allungati sull’amministrazione comunale di Cosoleto. Nel piccolo paesino della Piana di Gioia Tauro, ci sarebbe un locale di ‘ndrangheta autonomo nelle attività illecite ordinarie ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Dalle indagini, infatti, è emerso un forte interesse della cosca all’esito delle elezioni amministrative del Comune di Cosoleto del 2018 vinte dal sindaco Gioffré che era in contatto con l’indagato Antonio Carzo.

La locale a Roma – Le indagini sviluppate dal Centro Operativo Dia di Roma hanno fornito gravi indizi dell’esistenza dell’associazione di ‘ndrangheta denominata cosca Alvaro-Penna, i cui sodali risultano detentori di un radicato controllo del territorio e delle attività economiche, nonché infiltrate nella gestione di alcune amministrazioni locali. Il possesso di armi, anche da guerra, da parte dei componenti dell’associazione criminosa determina la pericolosità dell’associazione stessa. Sul filone romano dell’inchiesta, la Dia ha eseguito numerose perquisizioni e altre 43 ordinanze di custodia cautelare. Il blitz ha interessato diverse zone della capitale e della provincia di Roma. Alcuni indagati sono accusati di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. Secondo gli inquirenti, l’organizzazione criminale faceva sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività.

“Siamo una carovana per fare la guerra” – L’inchiesta delle due Procure ha consentito di dimostrare per la prima volta come la cosca Alvaro abbia dato vita, nella capitale, ad un’articolazione criminale. Era il cosiddetto “locale di Roma” che rappresenta un “distaccamento” autonomo del sodalizio radicato in Calabria e in particolare con quella che gli inquirenti chiamano “casa madre sinopolese” che ha il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i sodali romani. Per risolverle i due capi locale di Roma venivano in Calabria per discuterne durante con i vertici della famiglia in occasione di eventi particolari, quali matrimoni o funerali. “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto“, dicono gli indagati in un’intercettazione. La ndrina romana riconosciuta ufficialmente dalla “casa madre ” in Calabria. Il gruppo criminale era guidato dai boss Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo. Proprio Alvaro è il boss intercettato mentre sostiene: “Siamo una carovana per fare la guerra“.

I soldi e i colletti bianchi dei clan – Tra le persone raggiunte oggi da misura cautelare anche alcuni professionisti accusati di “avere messo a disposizione” della cosca il loro bagaglio di conoscenze. Si tratta di un commercialista, al quale il gip ha applicato la misura del carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e un dipendente di una banca. Contestualmente le forze ordine (questure, i carabinieri e guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria) hanno proceduto ad un sequestro preventivo nei confronti di una serie di società ed imprese individuali operanti a Roma e intestate a prestanome. Si tratta di 24 società e di ristoranti, bar e pescherie nella zona nord di Roma e in particolare nel quartiere di Primavalle.

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