Un virus. Due “Cine”. Due sistemi. Eppure, agli importanti appuntamenti dell’Oms di questo mese, a Ginevra, la Repubblica Popolare Cinese sarà presente; la Repubblica di Cina (meglio nota come Taiwan), invece no. La qualità di membro dell’Oms, infatti, può essere attribuita soltanto agli Stati e, nel nome del principio della “Cina Unica”, la partecipazione di entrambe non è in alcun modo possibile. Sarebbe invece possibile restituire a Taiwan lo status di osservatore, senza diritto di voto, ma con possibilità di contribuire attivamente alla salvaguardia della salute mondiale; patrimonio comune al quale Taipei ha dimostrato in questi anni di avere un prezioso contributo da offrire. Ciò risulta chiaro osservando la gestione della pandemia delle due Cine.

Giovedì 5 maggio, i 7 uomini più potenti della Cina, tra cui il Presidente Xi Jinping, si riuniscono per un incontro del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Partito Comunista.

Il messaggio che esce dall’incontro è inequivocabile: “Covid Zero” è l’unica strada che il governo intende percorrere. Occorre pertanto aderirvi e lottare contro qualunque narrazione metta in discussione la politica anti-epidemica del Paese.

Covid Zero significa che in Cina convivere con la malattia non è possibile.

Questa fu la strada scelta sin dall’inizio: quando si individuava un positivo, il paziente veniva isolato e nell’immediato partiva una campagna di tamponamento a tappeto, bloccando sul nascere i focolai. La strategia si rivelò vincente: dalla diplomazia delle mascherine, alle foto di una virus-free Wuhan, fino alla sfida (vinta) delle olimpiadi invernali, la Cina ha sfoggiato la propria gestione della pandemia come una vittoria sui modelli occidentali, da Pechino definiti deboli e decadenti.

Poi è arrivato Omicron, meno letale, ma più contagioso, e il sistema è andato in cortocircuito.

A Shanghai, la capitale economica della Cina, l’incapacità di gestire Omicron ha condotto all’incapacità di gestire l’intera città. Ventisei milioni di persone chiuse in casa senza cibo e senza farmaci, con ospedali congestionati, famiglie divise, porte sigillate tra le urla dei residenti. Questo il racconto di filmati e registrazioni che in aprile hanno invaso il web cinese, nella più potente manifestazione di dissenso dalla morte del Dottor Li Wenliang in poi. Dissenso che viene prontamente messo a tacere dalla censura.

D’un tratto, i vaccini occidentali sarebbero serviti. D’un tratto, la politica Covid Zero, attribuita a Xi in persona diventa un’arma a doppio taglio che scatena una ondata di rarissimo malcontento nei confronti delle autorità centrali. E in un Paese in cui il patto sociale tra popolo e potere si basa sul benessere garantito in cambio di diritti sottratti, se il benessere viene a mancare, anche la legittimazione traballa. Ecco perché Xi deve sconfiggere il virus ed ecco perché può farlo soltanto con una politica Covid Zero.

Intanto, ad appena 180km dalla Cina, Taiwan, che pure aveva adottato una politica Covid Zero, annuncia un mese fa di essere pronta ad abbandonarla. Decisione non semplice, quella dell’amministrazione di Taipei, che ha visto crescere vertiginosamente il numero di contagi nelle ultime settimane. Le ragioni del repentino cambio di marcia sono evidenti: la non sostenibilità del tentativo fallimentare di azzerare i contagi; la consapevolezza che i positivi a Omicron sono nella quasi totalità asintomatici o paucisintomatici (99,7% secondo il Ministero della Sanità Taiwanese) e, soprattutto, l’opportunità di rivendicare una propria identità diversa e contrapposta a quella cinese. E infatti, se da un parte il premier Su assicura che il nuovo ritorno alla normalità non significhi smettere di combattere il virus, dall’altra garantisce un’altra cosa: a Taiwan, un caso Shanghai, un modello di Covid (e tolleranza) Zero, come quello sopra descritto, non sarebbe mai neanche pensabile.

Del resto Taiwan – come il Dottor Zambon (già coordinatore della riposta Oms Covid in Italia), ricordò puntualmente in sede di Commissione d’Inchiesta Covid di Regione Lombardia – sin da inizio gennaio 2020 aveva comunicato all’Oms il pericolo di un nuovo virus in circolazione. Se allora Taiwan fosse stata ascoltata, la risposta del mondo al Covid sarebbe stata più rapida, in grado forse di salvare più vite. L’Oms svolge funzioni di guida sulle questioni sanitarie a livello mondiale; escludere voci preziose sulla base di scelte politiche, a discapito della stessa sanità, è qualcosa che non ci si può permettere.

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