Economia & Lobby

L’economia russa regge. E la nostra?

di Stefano Briganti

Sono passati circa due mesi da quando è iniziata la gragnuola di sanzioni occidentali alla Russia. Questa grandinata di oltre 6000 sanzioni, si è quasi esaurita e siamo allo “zoccolo duro” degli embarghi al petrolio e al gas russo. Era noto a tutti in Europa che superare questa linea è estremamente costoso. Probabilmente è anche noto a chi “governa il mondo” che lo strumento delle sanzioni ha dimostrato avere una bassissima percentuale di successo nel raggiungere gli obiettivi attesi. Basta andare a leggere, ad esempio, lo studio sulle sanzioni degli ultimi settanta anni, realizzato dall’Australian Strategic Policy Institute di Sidney.

Vale la pena ricordare gli obiettivi dichiarati delle sanzioni: “strangolare la Russia economicamente in modo da bloccare la sua macchina da guerra”, “isolare la Russia dai mercati economici e dal mondo”, “mandare la Russia in default in modo che nessun investitore si sognerà più di investire in Russia, impoverendo tutta la popolazione che a quel punto destituirà Putin”. Sono stati raggiunti? Finora sembrerebbe di no, infatti tre giorni fa The Economist ci informa che la “L’economia russa è ancora in piedi” (The Russia’s economy is back on its feet). Questo sebbene le previsioni FMI diano un crollo di 12 punti di crescita del GDP russo nel 2022.

Dopo due mesi di sanzioni il rublo è quasi tornato al suo valore del 2021. Nascono nuovi accordi commerciali con la Cina, India, Pakistan per pagamenti in valute nazionali anziché in dollari (moneta che grazie alla sanzioni si può rivelare una “valuta rischiosa” per certi investimenti). Il defaut “artificiale” al momento è di là a divenire e la Russia paga, almeno per ora, le sue obbligazioni in valuta.

I siti produttivi in Russia lasciati dalle aziende occidentali sono uno “shopping mall” per la Cina (vedi sito ex Renault di Mosca) e per l’India. I progetti per un nuovo gasdotto verso la Cina (Power Siberia 2) e uno verso il Pakistan hanno subito una formidabile accelerazione, mentre l’India ha acquisito una buona fetta del carbone e del “crude oil” lasciato dall’occidente, a “prezzo di favore”. Il commercio tra Russia e Cina è cresciuto del 25% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Insomma la Russia, abituata da anni a ricevere sanzioni occidentali, sta reagendo anche se azzoppata. Cosa succede invece in Europa come “effetto collaterale” alle sanzioni? Il FMI prevede che la Ue subirà una riduzione del 2,5% del GDP 2022 rispetto al 2021. L’inflazione in Ue è al 7.8%, 6,1 punti in più rispetto al 2021 e 1,6 punti in più in un singolo mese 2022. La Germania nel secondo trimestre ha fatto -3,8 punti di crescita GDP rispetto al piano. L’Italia ad aprile ha rivisto le stime portando la crescita GDP dal 4,8% stimata ad ottobre 2021 al 3,1%, 1,7 punti in meno.

Per quel che riguarda i prezzi dell’energia tutti conosciamo il folle balzo in alto, mentre rimaniamo in attesa di vedere gli effetti sui portafogli italiani, derivanti dall’uso dei nuovi approvvigionamenti di GNL da USA, Qatar e Paesi Africani (che si fregano le mani per le sanzioni alla Russia) ovvero da chiunque non ha “un tubo del gas” collegato a noi. Le sanzioni hanno stravolto le catene di approvvigionamento non solo russe ma anche europee, con un effetto domino sui costi che si riflette sui prezzi.

Credo ci siano pochi dubbi; al di la dei bizantinismi italici che vogliono far credere il contrario, tra dieci giorni il gas russo lo pagheremo con il doppio conto in euro e rublo presso Gazprombank. Se non lo facessimo non solo si spegnerebbero i condizionatori in estate e i termosifoni in inverno, ma anche, probabilmente, un pezzo della nostra industria pesante, qualche migliaio di medie aziende incluso l’indotto e avremo parecchie centinaia di migliaia di italiani a casa e al freddo. Delle due l’una: o sono dei “pericolosi” dilettanti allo sbaraglio o sono dei politici nel senso negativo del termine che hanno nascosto come sarebbero andate le cose.

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