A Cuffaro non ha mai fatto difetto la prontezza di spirito ma le parole di Morvillo denunciano una realtà aberrante. Alfredo Morvillo, fratello di Francesca e cognato di Giovanni Falcone, intervenendo alla presentazione del libro dedicato alla sorella e scritto da Felice Cavallaro, ha detto: “A trent’anni dalle stragi la Sicilia è in mano a condannati per mafia”.

Riporta la cronaca de Il Fatto che Morvillo non abbia fatto nomi, ma che tutti abbiano pensato a Cuffaro e Dell’Utri, tornati centrali nella politica siciliana e in particolare palermitana. E’ probabile che lo stesso Cuffaro abbia avuto il medesimo pensiero, visto che ha sentito il bisogno di rispondergli e lo ha fatto da par suo, mescolando ossequio a spruzzi di generosità e costituzionalismo. Si legge infatti nella sua replica: “Nonostante la sua autorevole considerazione, che rispetto ma che con educazione non condivido, credo – ha detto l’ex governatore – di avere il diritto costituzionalmente riconosciutomi e forse anche il dovere di vivere la mia vita da libero e coltivare il mio impegno politico e sociale dopo avere pagato i miei errori con grande sofferenza”. Magistrale.

E infatti ineccepibile, ma il punto non è questo. Ciò che indigna della situazione alla quale ha fatto riferimento Alfredo Morvillo non è tanto l’attivismo politico di Cuffaro, faccia pure quello che vuole. Ciò che indigna è il seguito che Cuffaro pare abbia di nuovo. Come dice Morvillo: “C’è chi attualmente strizza l’occhio a personaggi condannati per mafia. C’è una Palermo che gli va dietro, se li contende e li sostiene”. Ed è questo ritrovato prestigio che ferisce e preoccupa.

Perché se nel nostro paese le mafie hanno avuto il ruolo che hanno avuto (e che in parte hanno ancora) è stato anche per la legittimazione sociale di cui hanno goduto. Una legittimazione che ha attinto da due serbatoi, quello della maliziosa sottovalutazione del pericolo mafioso e quello del clientelismo amorale, allergico al principio di legalità e insofferente verso la democrazia. Una legittimazione sociale che non ha soltanto giustificato la compiacenza nei confronti di mafiosi e sodali, ma che ha anche contribuito al doloroso isolamento di coloro che invece la mafia non l’hanno sottovalutata mai. Ed è questo aspetto, credo, che rende insopportabile agli occhi di Morvillo quanto sta accadendo: avere vivo e indelebile il ricordo dell’isolamento patito da chi ha combattuto le mafie senza esitazioni.

Che paese è quello nel quale ci si accoda a un Cuffaro mentre si tiene a distanza, ieri come oggi, chi è esposto quotidianamente? Viene in mente la recente denuncia della giornalista Marilena Natale, da anni sotto scorta per il suo lavoro di analisi e denuncia della camorra, che si è vista negare la possibilità di affittare una casa perché la scorta avrebbe potuto inquietare gli altri condomini. Ci leggo questa amarezza nelle parole di Morvillo che dice: “Davanti a questi fatti mi viene in mente un cattivo pensiero: certe morti sono stati inutili. Qui sono accadute cose inaudite. Ma la libidine del potere spinge alcuni a stringere alleanze con chicchessia”.

C’è una frase la cui origine si perde nella notte dei tempi che recita: “Le api non sprecano tempo a spiegare alle mosche perché il miele sia meglio della cacca”. E’ una frase che se spiega qualcosa di certo non consola, visto che poi le mosche votano tanto quanto le api. Spero allora che possa essere di un qualche conforto ad Alfredo Morvillo sapere che in tanti in Italia non abbiamo nessuna intenzione di smettere di spiegare la differenza tra il miele e la cacca, tra il profumo che ha la libertà e il puzzo del compromesso. Convinti che gli esseri umani, a differenza delle bestie, possano sempre scegliere se essere mosche o api.

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