La questione torna d’attualità a intervalli regolari, più o meno dopo ogni fallimento della Nazionale. L’unico modo per evitare figuracce azzurre, si ripete, è fissare un tetto al numero di stranieri che possono essere schierati dai club italiani. O, in alternativa, puntare sulla ristrutturazione dei vivai. Qualunque cosa voglia dire. Tutto giusto. Anche se la correlazione diretta fra l’uso massiccio di calciatori provenienti dal settore giovanile e i successi di una rappresentativa Nazionale è ancora tutta da provare, una speranza condivisa più che una soluzione scientifica. Soprattutto in un momento storico dove la crisi di “vocazione” dei ragazzi rende difficile da tamponare l’emorragia di talento a cui stiamo assistendo.
La scorsa settimana il Cies, l’osservatorio del calcio che dalla Svizzera monitora la nuove tendenze del calcio internazionale, ha pubblicato un report sull’utilizzo dei “club-trained players” in 40 campionati nazionali sparsi per il mondo. E i risultati sono piuttosto interessanti. Il punto di partenza è la definizione di calciatore formato nel vivaio di un club, che può essere sciolta come “un giocatore che fra il suo quindicesimo e ventunesimo compleanno è rimasto per almeno tre anni nel club con cui aveva sottoscritto il contratto”. Dall’utilizzo di questa chiave interpretativa si può ricavare una classifica particolare. Il club più attento alla cura del proprio vivaio è l’Envigado FC, sesto nel torneo colombiano, che ha schierato calciatori cresciuti all’interno del proprio settore giovanile nel 76.4% dei minuti disputati in campionato. I dati, ovviamente, cambiano molto se si prendono in considerazione i primi cinque tornei del Vecchio Continente. La Liga è il campionato dove i ragazzi del vivaio trovano più spazio, con una media del 17% sul totale dei minuti giocati. Seguono Germania con il 14.3%, Francia con l’11,7% e Inghilterra con l’11.6%.
Numeri che sembrano irraggiungibili per l’Italia, dove la contabilità è decisamente preoccupante. Le 20 squadre di Serie A, fin qui, hanno concesso in media il 7.1% dei minuti totali disputati ai giocatori provenienti dal settore giovanile. Ma le cifre raccontano una situazione ancora più tetra. Perché quello è italiano è l’unico campionato dove addirittura tre società (Venezia, Udinese e Bologna) non hanno schierato neanche un giocatore cresciuto nel club, mentre la Salernitana ha concesso appena lo 0.1% dei minutaggio complessivo ai suoi “prodotti”. Fra le squadre più virtuose, invece, ci sono Genoa (23.9%), Spezia (14.8%) e Sassuolo (14.6%). Ossia tutti club che si trovano a galleggiare nella parte destra della classifica. Negli altri campionati la situazione è completamente diversa. Ma è anche così variegata da rendere difficile un confronto fruttuoso.
In Spagna l’Athletic Club Bilbao (che ha anche una filosofia di appartenenza etnica precisa) ha impiegato i giocatori provenienti dal vivaio nel 55.8% dei minuti totali, la Real Sociedad nel 43.9%, il Celta Vigo nel 41.2%. In pratica il Genoa primo fra i club italiani sarebbe addirittura settimo in Spagna, poco sopra del 23.3% fatto registrare dal Valencia. La Francia ha ben tre società oltre il 33% dei minuti totali: Saint Etienne (terzultimo) con il 35.6%, Montpellier (tredicesimo) con il 34.5% e Lione (settimo) con il 33.1%. Il caso più interessante, però, riguarda l’Inghilterra. In Premier League, infatti, gli unici due club ad aver schierato giocatori cresciuti nel proprio vivaio per più del 25% dei minuti totali sono stati Manchester United (27.6%) e Chelsea (25.4%), ossia due big. È una statistica che sottolinea una banalità: più che i minuti concessi ai giovani del vivaio, conta la qualità dei calciatori che si sono formati nel club. Perché per vincere servono soprattutto uomini pronti.
La riprova è data dal fatto che fra i club al vertice del proprio campionato solo Real Madrid (13.8%) e Bayern Monaco (con il 10.3%) hanno concesso ai giocatori del proprio settore giovanile più del 10% dei minuti totali: il Manchester City è fermo a quota 6.2%, il PSG non va oltre al 7.9%, il Milan è fermo al 7.3%. Un discorso molto simile a quello che può essere applicato alle coppe continentali: il Villarreal col 17.4% dei minuti totali è la semifinalista di Champions che ha concesso più spazio ai calciatori delle giovanili, mentre in Europa League il West Ham non va oltre il 13%. In sostanza, sembra esserci una correlazione inversa fra l’impiego dei ragazzi formati all’interno del proprio settore giovanile e le possibilità di alzare al cielo un trofeo: i grandi club, quelli che vogliono (ma che soprattutto devono) vincere, si affidano in maniera massiccia al player trading. Il discorso potrebbe essere diverso per le Nazionali. Perché un impiego più diffuso di giocatori che si sono formati nei vivai potrebbe quanto meno allargare la platea degli eleggibili a indossare la maglia azzurra. Ma questo non porterà automaticamente a un innalzamento del livello medio dai calciatori a disposizione di Mancini e dei suoi successori.