Quasi duecento agenti di polizia, dalle prime ore del 12 maggio, hanno eseguito un’ordinanza di applicazione misure cautelari nei confronti di 31 indagati per associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga e con forti legami con trafficanti sudamericani, latitanti ed esponenti di spicco della criminalità organizzata. L’operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano (sostituta procuratrice Silvia Bonardi), ha interessato varie regioni italiane nonché Paesi esteri tra cui Olanda, Spagna e Lituania. Tra gli indagati c’è l’imprenditore del web Alberto Genovese, già arrestato nel 2020 (e ora a processo) per violenze sessuali su due modelle. L’ex fondatore di start-up è accusato di aver acquistato nel novembre 2019 da due co-indagati cento grammi “di sostanza stupefacente del tipo ketamina o cocaina” da “ritenersi destinata alla successiva vendita o cessione”, che gli sarebbe stata consegnata in piazza Santa Maria Beltrade a Milano, l’indirizzo del suo attico “Terrazza Sentimento“, teatro dei party a base di droga. Ed è significativo, scrive il gip Carlo Ottone De Marchi in un passaggio delle 900 pagine di ordinanza, che Genovese “sia successivamente balzato agli onori delle cronache perché raggiunto da ordinanza cautelare con l’accusa di violenza sessuale ai danni di una ragazza mediante uso di cocaina rosa e ketamina nel corso di una festa organizzata proprio presso la propria abitazione di piazza Beltrade 1″, dove sono state rinvenute quelle due sostanze.
Tra le misure eseguite il sequestro della galleria d’arte moderna di Amsterdam “Art3035 Gallery” di proprietà di Andrea Deiana, 41enne di Terracina con precedenti per fatti di droga, latitante dopo che il gip ha disposto per lui la custodia cautelare in carcere. Nel provvedimento Deiana è definito “importantissimo broker di stupefacenti internazionale, in grado di organizzare forniture per centinaia di chili”, ma allo stesso tempo “mercante d’arte specializzato nelle opere dell’artista contemporaneo probabilmente più famoso e nello stesso tempo più enigmatico del pianeta, Banksy“. Privo di utili dichiarati in Italia, l’indagato ha avviato nel 2018 la galleria in cui – secondo l’accusa – si riciclavano i proventi del narcotraffico con vendite fittizie di quadri di street art. Nelle chat intercettate, Deiana usava proprio il nickname “Banksy”: gli “attori protagonisti di questa storia criminale”, infatti, sceglievano i “nickname dei telefoni criptati in base alle proprie passioni o orientamenti politici”, scrive il gip. Da una delle conversazioni, risalente a giugno 2020, risulta che al broker era “venuto in mente di utilizzare l’attività” di un’altra persona “per bonificare ventimila euro” e una “scusa per giustificare quella movimentazione era da ricondurre all’acquisto di un quadro di Banksy”.
L’indagine – condotta dai poliziotti dell’unità specializzata antidroga della Squadra mobile – era iniziata a settembre 2019 con l’individuazione di una cellula locale di trafficanti milanesi, riconducibile a due imprenditori nel campo della ristorazione. Da lì si è risaliti a Deiana, che “emerge come un broker internazionale di elevato spessore criminale in stabile contatto sia con i narcos sudamericani sia con uno dei più importanti trafficanti di droga al mondo, Imperiale Raffaele“, estradato in Italia a fine marzo scorso dagli Emirati Arabi dopo una latitanza dorata a Dubai. Imperiale, ritenuto vicino al clan camorristico degli Scissionisti e anche lui col pallino dell’arte, è stato ribattezzato il “boss dei Van Gogh” per avere acquistato, custodito e poi fatto anche ritrovare due preziosissime tele del celebre pittore fiammingo che erano state trafugate dal museo di Amsterdam nel 2002. Dall’ordinanza emerge che lo stesso Deiana in alcune chat racconta “di aver fornito un importante supporto alla latitanza di Imperiale”. E scriveva nell’agosto del 2020: “Quando mio amico era in Europa era latitante e stava sempre con me vivevamo stessa casa”. A quanto ricostruito, Deiana poteva vantare “rapporti, costanti, con ambienti della malavita locale ed internazionale” e “connessioni con il mondo della criminalità organizzata campana”. La Dda di Milano, si legge nel comunicato degli inquirenti, ha potuto contare su “una significativa e articolata cooperazione internazionale coordinata da Eurojust”, l’agenzia Ue per la cooperazione giudiziaria. A mettere i sigilli all'”Art3035 Gallery” è stata l’autorità giudiziaria olandese, in ottemperanza a una rogatoria internazionale.