L’epidemia di Covid-19 in corso da ben più di due anni non si è ancora conclusa e causa al momento circa 40mila nuovi casi diagnosticati ogni giorno e oltre 100 decessi, che rappresentano circa il 6% dei circa 1.800 decessi giornalieri in Italia. Fino ad oggi l’epidemia in Italia è stata responsabile di circa il 9% dei decessi registrati in Italia dall’inizio del 2020.

Ci sono molte ragioni per pensare che la malattia stia gradualmente passando da una fase epidemica, nella quale i casi si presentano in violente ondate successive, a una endemica, nella quale il virus circola nella popolazione con andamento fluttuante ma continuativo. La letalità misurata sui casi diagnosticati è al momento nell’ordine dello 0,25% grazie soprattutto al fatto che il tasso di vaccinazione della popolazione è elevatissimo e la gran parte delle infezioni riguarda soggetti vaccinati.

In sostanza, con tutte le cautele del caso, si può dire che:

1) le misure di contenimento non farmacologiche, attuate prima della disponibilità dei vaccini, hanno rallentato il decorso atteso delle prime ondate epidemiche: non hanno diminuito il numero totale dei casi ma li hanno distribuiti su tempi più lunghi, contribuendo a contenere l’emergenza;

2) i vaccini hanno ridotto grandemente la mortalità e le ospedalizzazioni ma purtroppo non hanno fermato i contagi;

3) le varianti virali emerse nel tempo si sono rivelate più contagiose di quella originale e hanno contribuito a mantenere elevato il numero dei contagi.

Cosa ci aspettiamo che succeda adesso? Il virus con ogni probabilità continuerà a circolare e a produrre nuove varianti; tutti noi prima o poi siamo destinati a incontrarlo. La popolazione è ormai largamente protetta da una risposta immunitaria dovuta al vaccino o a precedenti incontri col virus e questo farà sì che la malattia diventerà progressivamente sempre meno grave (salvo naturalmente la possibile emergenza di ceppi virali particolarmente aggressivi).

Il Prof. Crisanti da tempo suggerisce di abbandonare le misure di contenimento diverse dal vaccino: mascherine, distanziamento, etc. e riprendere una vita sociale normale. La logica di questa proposta è semplice: noi sappiamo che ogni contatto col virus o col vaccino rafforza la nostra immunità, ma che questa diminuisce nel tempo che intercorre tra un contatto e l’altro, pur senza mai annullarsi del tutto. In queste condizioni rimuovere ogni misura di contenimento aumenta la frequenza dei contatti tra virus e ospite e fa sì che ogni contatto avvenga nel periodo in cui la protezione immunitaria dell’ospite è massima.

Se io, ad esempio, posso scegliere tra proteggermi con mascherine, distanziamenti etc. e avere mediamente un incontro col virus ogni 12 mesi o non proteggermi affatto (tranne che col vaccino) e avere mediamente un incontro col virus ogni quattro mesi, la prima strategia mi espone mediamente a una malattia ogni anno contratta con una immunità declinante, la seconda a tre infezioni all’anno tutte contratte in momenti in cui la mia immunità è massima. La seconda ipotesi è vantaggiosa sia a livello individuale che di popolazione. Nel tempo il Sars-Cov-2 diventerà una infezione banale, non peggiore di una qualunque influenza, anche se probabilmente saranno richieste rivaccinazioni periodiche.

Il decorso osservato dell’epidemia ha confermato che il Covid-19 non è mai stato realmente “contenibile”: nessuna strategia “Covid zero” ha funzionato a lungo termine. Soltanto il vaccino può arginare in modo efficace se non l’epidemia almeno la mortalità da essa causata. Un discorso a parte è quello dell’aspetto sociale: liberarsi dalla paura della malattia e curare i danni psicologici e materiali causati dalle misure di contenimento, che soprattutto tra gli adolescenti sono stati frequenti.

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