In Germania nonostante nell’anno appena concluso siano nati così tanti bambini come non accadeva da 25 anni, si è registrato il più alto deficit tra nascite e decessi dal 1945. Lo ha comunicato l’ufficio federale tedesco per le ricerche sulla popolazione (Bundesinstitut für Bevölkerungsforschung, BiB). Il totale di circa 796mila nascituri non ha potuto compensare più di un milione di morti, la differenza è di circa 228mila individui.

La tendenza si registra in effetti da 50 anni, nei quali sono morte in Germania oltre 6 milioni di persone in più rispetto a quante ne sono nate. L’ultima volta in cui le nascite sono state più dei decessi risale al 1971. Nel 1975 la differenza era già stata di 207mila defunti in più e solo nel 1988 il divario era sceso a 8mila decessi, per poi ripeggiorare. Le persone diventano sempre più vecchie e l’età media aumenta costantemente, nel 2020 era di 44,6 anni. L’aumento dell’aspettativa di vita interessa oltretutto classi numerose e anche un incremento ragionevole delle nascite non può farvi fronte. Ciò nonostante siano aumentate le famiglie numerose, come ha registrato l’ufficio statistico nazionale Destatis: le nascite del terzo figlio sono cresciute del 3,9% (quelle del primo figlio solo dell’1,2%). Mentre però nei vecchi Länder il tasso di natalità rispetto al triennio 2018-2020 è salito del 3,3%, nei nuovi è sceso del 5,1%.

Concausa il calo del numero di matrimoni che non sono mai stati così pochi dai tempo della Prima guerra mondiale. Solo 357.800 coppie si sono dette sì nel 2021 (la statistica registra circa 349mila matrimoni eterosessuali e 8.700 omosessuali), il 4,2% in meno rispetto al 2020 e già allora la percentuale con la pandemia era diminuita del 10,3%. Oltretutto ci si sposa di più attorno ai trent’anni e nella ex Ddr si affacciano adesso ai trent’anni le classi degli anni ’90, che sono meno numerose, e molti giovani se ne sono andati. Anche per questo all’est i matrimoni sono scesi di più che all’ovest (meno 8,6% rispetto a meno 3,5%). In questo quadro, secondo il rapporto, è altresì improbabile che il numero di nascite rimanga elevato, perché affacciandosi all’età fertile le generazioni degli anni ’90 che sono quantitativamente meno cospicue, nei prossimi vent’anni il numero di potenziali mamme diminuirà. La pandemia da coronavirus ha rafforzato il fenomeno, ma non in modo determinante.

La popolazione tedesca aumenta però grazie all’immigrazione da altri Paesi. Si stima che l’anno scorso siano arrivate dalle 270mila alle 320mila persone in più rispetto a quante ne siano emigrate. Dopo una prolungata crescita costante, per la prima volta nel 2021 gli abitanti sono tuttavia leggermente diminuiti. Questo fa prevedere al BiB che si ridurranno ancora. Alla fine dell’anno la Germania contava circa 83,2 milioni di persone. Gli studiosi prevedono che nel 2060 potranno vivere nel Paese da 67,6 a 76,5 milioni di persone, i dati non computano però crisi o guerre e per l’ufficio statistico nazionale Destatis la popolazione resterà invece tra i 74 e gli 83 milioni. Lo sviluppo di una Nazione d’altronde non dipende solo dal numero di abitanti o dall’andamento delle nascite, sottolinea il BiB, quanto dal livello di istruzione, e la direttrice Christa Katharina Spieß conclude che è fondamentale investire su di essa.

Dal 15 maggio partirà il nuovo censimento nazionale, i dati rifletteranno anche l’apporto dei rifugiati ucraini. Per il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (BaMF) all’inizio di maggio erano più di 610mila, di cui quasi il 40% – oltre 240mila – minorenni e tra gli adulti all’80% donne. I dati però non sono univoci, pur confermando che i profughi ucraini sono per lo più donne, bambini ed anziani, la Polizia al 4 maggio ne aveva registrati in effetti 402.651. Per raffronto secondo i rilevamenti Destatis al 31 dicembre 2020 vivevano in Germania già circa 135mila cittadini di origine ucraina, al diciannovesimo posto tra le comunità straniere, ed il loro numero era salito del 21% in dieci anni. Mentre i russi erano quasi il doppio, al nono posto come gruppo, con una crescita del 33% in una decade. A pari data gli italiani erano il 5,5% della popolazione, un po’ meno di 600mila, al quinto posto come gruppo nazionale, dopo turchi, siriani, polacchi e romeni.

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