E’ da pochi giorni in libreria “La battaglia della moneta fiscale”, scritto da Stefano Sylos Labini ed edito da Il Ponte editore. Il libro dà conto dei risultati di un lavoro decennale, svolto anche nell’ambito del Gruppo moneta fiscale a cui aderì anche Luciano Gallino e che continuato a sviluppare un’attività incessante non solo sul piano scientifico ma anche su quello dei rapporti politici e dell’elaborazione di documenti operativi e di disegni di legge presentati in Parlamento. L’oggetto dello studio è appunto uno strumento pensato per “mettere in circolazione potere d’acquisto e aiutare l’economia”. Sylos Labini, ci spiega cos’è esattamente una moneta fiscale?
Si tratta di sconti fiscali che vengono resi trasferibili a terzi e diventano così una sorta di moneta complementare che si affianca a quella ufficiale.
Con quale utilità?
E’ un modo per recuperare margini di intervento nella gestione della politica economia e una qualche autonomia nei confronti della Banca centrale europea, senza intaccare il monopolio dell’euro come moneta legale. Questo senza la necessità di ricorrere ai prestiti dei mercati finanziari.
Non c’è il rischio che a Francoforte non gradiscano?
La Banca centrale europea sarebbe costretta ad accettare strumenti di questo tipo. Si tratta di crediti emessi dallo Stato e poi resi scambiabili sui mercati privati che decidono se e come farli circolare e utilizzarli. Per di più, a differenza della moneta con corso legale, non esiste nessuna obbligatorietà nell’accettazione di questi crediti che sono utilizzabili solo su base volontaria.
E pericoli per le finanze pubbliche nel momento in cui questi crediti diventano liberamente cedibili?
No e su questo abbiamo anche in corso uno scontro piuttosto acceso con Eurostat (l’istituto di statistiche europei che certifica anche i bilanci degli stati membri dell’Unione, ndr). Il punto è che questi crediti sono esercitabili solo come sconto sulle tasse da versare, non vengono mai convertiti in moneta, neppure a scadenza. Quindi all’atto dell’emissione non c’è creazione di nuovo debito. Un impatto sul bilancio pubblico in termini di minori entrate si avrà solo al momento e per la quota che sarà esercitata per scontare le tasse. Ma nel frattempo bisognerà vedere di quanto sono cresciuti l’economia e il gettito fiscale. Inoltre, a differenza dei normali titoli di Stato che vendono venduti sui mercati finanziari, i crediti fiscali non sono oggetto di attacchi speculativi
In una fase di surriscaldamento dei prezzi non si rischia di gettare benzina sul fuoco?
Come la normale moneta anche quella fiscale deve essere gestita e dosata in base alle condizioni economiche. Quando la domanda è depressa ci sono margini per aumentare l’offerta di moneta fiscale senza causare inflazione. In questo momento peraltro ci troviamo alle prese con un’inflazione esogena. fondamentalmente importata dall’estero attraverso i prodotti energetici.
Una moneta fiscale la vediamo in opera con il bonus fiscale che però sta sollevando anche critiche, a cominciare da quelle del presidente del Consiglio Mario Draghi…
E infatti la cessione dei crediti delle ristrutturazioni è una misura che ha dato un po’ di ossigeno all’economia, generando due punti percentuali di Prodotto interno lordo. Do atto al Movimento 5 stelle di essere riuscito ad applicare in concreto per primo una soluzione di questo tipo, ma devo precisare che la paternità dell’idea è del gruppo che su questo argomento lavora da anni. Nonostante i buoni risultati il governo Draghi sta facendo di tutto per affossare strumenti di questo tipo, una qualche autonomia dalla Bce e delle nostre politiche monetarie non viene visto di buon occhio. Così prima ha fortemente limitato le possibilità di cessione dei crediti, sollevando le proteste di tutti i soggetti coinvolti, banche incluse. Poi ha fatto una parziale retromarcia estendendo fino a 4 le possibili cessioni. I problemi cha hanno interessato il bonus non riguardano lo strumento in quanto tale, ma piuttosto la carenza dei controlli. Sono stati concessi crediti a soggetti che poi non effettuavano i lavori.
Ci sono precedenti storici per l’uso di strumenti di questo tipo?
Sì. quello più interessante e di maggior successo è quello della Germania nel 1933, esperienza che si rivelò enormemente efficace nel rivitalizzare domanda, produzione e occupazione. Il caso italiano odierno presenta analogie con quello tedesco del 1933. L’Italia è sì in grado di finanziarsi sui mercati, ma all’interno di una cornice di vincoli che le impedisce di intraprendere le azioni anticicliche necessarie a superare la crisi di domanda iniziata, ormai, parecchi anni fa. Una soluzione di questo tipo fu solo ipotizzata nel 2015 anche dall’allora ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis con l’intento di aiutare il paese a superare la gravissima crisi finanziari. Il ministro si mosse però troppo tardi, quando ormai non c’erano più tempi e condizione per riuscire ad implementare questo metodo.