Chi ha ucciso la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh? Sì è trattata di una vera e propria esecuzione a sangue freddo. Il killer ha mirato alla testa di Shireen Abu Akleh. Perché è stata uccisa? Quando viene colpito un giornalista, lo si vuole evidentemente mettere a tacere. Da anni Shireen, noto volto di Al Jazeera, riportava fedelmente i quotidiani crimini commessi dalle forze di occupazione e qualcuno ha deciso che la sua voce dovesse essere silenziata per sempre.
Quasi ogni giorno vengono assassinati a sangue freddo dei palestinesi, ma in questo caso la notorietà della persona colpita e la funzione che svolgeva hanno provocato reazioni un po’ più significative del solito. Perfino Enrico Letta ha chiesto verità e giustizia. Ovviamente si è ben guardato dal condannare gli assassini chiamandoli per nome e cognome.
A ben vedere, la fastidiosa e indegna ipocrisia dell’Occidente è parte integrante dello scenario in cui si consuma, da molti decenni la tragedia del popolo palestinese. Il conferimento di una patente di democraticità ad Israele costituisce una condizione ineliminabile per la continuazione dello sterminio quotidiano dei palestinesi, quello che è stato giustamente definito un genocidio a piccole dosi, come pure dell’esistenza indisturbata di un regime autorevolmente definito razzista e di apartheid, in quanto esclude da ogni diritto, anche quello fondamentale alla vita, buona parte della popolazione che vive sotto di esso. Come può essere definito democratico un governo che esclude da ogni partecipazione democratica milioni di persone e le assoggetta a un’esistenza priva di ogni diritto politico, civile, economico, sociale o culturale?
L’Occidente si specchia nella Palestina occupata per rinvenirvi il proprio vero volto, quello dell’oppressione più spietata, oggi ancora più imbarbarita per effetto del clima di guerra guerreggiata o non che sta pervadendo sempre più ogni parte del globo e minaccia di travolgerci presto tutti nell’incubo della guerra nucleare.
Le violazioni del diritto internazionale da parte di Putin sono state giustamente condannate, sanzioni sono state adottate, armi e sostegni di ogni genere vengono forniti in modo crescente all’Ucraina. Ma nei confronti del popolo palestinese, oppresso e massacrato a partire dal 1948 e peggio ancora dopo l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza nel 1966, la comunità internazionale non ha mai varato alcuna politica significativa di pressioni volte a ristabilire il diritto internazionale violato. Anzi, Israele viene sostenuto con enormi esborsi di denaro e forniture di armamenti da parte degli Stati Uniti, per cui rappresenta un alleato strategico di fondamentale importanza. Le anime belle che giustamente inorridiscono per i crimini russi in Ucraina si voltano dall’altra parte quando le vittime sono palestinesi, anche se magari hanno capelli biondi e occhi azzurri.
La triste conclusione potrebbe essere che il diritto internazionale non esiste e che si tratta solo di un artificio retorico da invocare all’occorrenza per sostenere le ragioni strategiche di questo o di quello. Ammettere questo equivarrebbe però ad affermare che i destini dell’umanità sono governati esclusivamente dalla forza bruta e che l’unico modo per sopravvivere su questo pianeta è attrezzarsi alla guerra, con grande soddisfazione delle industrie produttrici di armamenti, che presto saranno le uniche a produrre profitti. Ma la guerra costituisce anche la fine del genere umano, specie tenendo conto dell’esistenza delle attuali armi di distruzione di massa. Occorre quindi dare una risposta alternativa a questo dilemma che è di importanza fondamentale, affermando le ragioni della coesistenza pacifica tra Stati e popoli e quelle della punizione dei crimini.
Tornando alla barbara uccisione di Shireen, si è trattato certamente di un gravissimo crimine di guerra che rientra nella giurisdizione della Corte penale internazionale, la quale com’è noto da oltre anno sta investigando sui crimini commessi in Cisgiordania e Gaza. E’ evidente che punire un crimine di questo genere rafforza la prevenzione e la repressione di ogni crimine di guerra e contro l’umanità. Ma si tratta di una logica troppo lineare ed onesta per pretendere che le classi dirigenti dell’Occidente la facciano propria. Per loro la bandiera del diritto internazionale, dei diritti umani e della giustizia va sventolata solo quando fa comodo per affermare i propri interessi strategici, tra i quali non rientrano certo i diritti del popolo palestinese.