Il 10 maggio tre proiettili esplosi da due sicari su una moto d’acqua hanno messo fine alla vita di Marcelo Pecci sulla spiaggia dell’isola di Barú, a largo della città capitale del turismo in Colombia: Cartagena de Indias.

I soccorsi non sono riusciti a strappare alla morte Pecci, 45 anni, pubblico ministero paraguaiano specializzato nella lotta alla droga che si trovava in Colombia in luna di miele, per celebrare il suo recente matrimonio (30 aprile) con la giornalista paraguaiana Claudia Aguilera. La moglie di Pecci è rimasta fisicamente illesa, anche se chiaramente sotto shock: poche ore prima dell’attentato i due avevano dato sui social la notizia di essere in attesa del loro primo figlio.

E’ un caso che Pecci, uno dei principali nemici della lotta alla droga in Paraguay (con molte indagini transnazionali a suo carico), sia stato ucciso in Colombia, il maggior produttore di cocaina del mondo? La risposta che risuona nelle stanze dove si stanno cominciando a comporre i pezzi del mosaico è no. Colombia, Paraguay e Stati Uniti d’America i paesi che hanno già iniziato una collaborazione investigativa per sciogliere una matassa che potrebbe riguardare anche il Brasile, l’Ecuador e la Bolivia. Troppo presto certo per fare speculazioni, anche perché Pecci aveva collezionato molti nemici nei suoi 22 anni di carriera, metà dei quali spesi a combattere le organizzazioni criminali dedite al traffico di droga.

In Paraguay, dove il 12 maggio è giunto il corpo di Pecci, le reazioni non si sono fatte attendere. Uno tra i primi a condannare l’attentato, poche ore dopo l’accaduto, è stato il presidente del Paraguay Mario Abdo Benítez Perrier, che su Twitter ha scritto: Il vile assassinio del procuratore Marcelo Pecci in Colombia fa piangere l’intera nazione paraguaiana. Condanniamo con la massima fermezza questo tragico evento e raddoppiamo il nostro impegno nella lotta alla criminalità organizzata. Le nostre più sincere condoglianze ai suoi familiari.

Belinda Bobadilla, procuratore generale di Asunción (capitale del Paraguay) ha dichiarato poi alla stampa colombiana che: “Marcello Pecci ha dedicato la sua vita al Pubblico Ministero. Dal 2009 combatteva la criminalità. Era una persona molto professionale. Penso che coloro che hanno commesso questo delitto debbano essere associati a qualche formazione criminale che conta su un forte sostegno economico o politico. La morte di Marcelo avvantaggia diverse persone che si trovavano sotto processo”.

In Colombia si parla già di un possibile ritratto di uno degli assassini di Pecci (la polizia colombiana ha offerto una cifra che si aggira intorno ai 500 mila dollari per chiunque possa offrire informazioni utili alla cattura) e di tre possibili autori intellettuali (due libanesi e un brasiliano di origini libanesi). Kassed Mohamad Hijazi, Mahmoud Alí Barakat e Nader Mohamad Farhat sono le tre persone (già in custodia delle autorità statunitensi in Florida) sulle quali stanno ricadendo i principali sospetti. Barakat e Farhat sono inoltre sospettati di appartenere ad Hezbollah, e furono estradati negli Usa (nel 2018 il primo e nel 2019 il secondo) proprio grazie alle indagini di Pecci che li collegava ai cartelli della droga che si muovono tra Bolivia, Brasile, Paraguay e Argentina.

Interpol, DEA, FBI e polizia colombiana stanno coordinando le loro azioni in questo senso, ma al di là degli esecutori materiali e intellettuali, sono i veri mandanti il nodo da sciogliere. Se da un lato infatti il nome del Clan Del Golfo (il gruppo armato narcoparamiliatare colombiano più violento e strutturato del Paese), si fa sempre più strada come il possibile braccio armato dell’esecuzione, ancora da capire è chi ha pronunciato la sentenza di morte del pubblico ministero paraguaiano, dando il via alla macabra operazione.

Il Clan del Golfo (anche conosciuto come Clan Úsuga, Los Urabeños, Bloque Héroes de Castaño o Autodefensas Gaitanistas de Colombia – AGC) ha infatti perso da poco il suo leader storico, Dairo Antonio Úsuga alias “Otoniel“, catturato dalla forza dell’ordine pubblico colombiana il 23 ottobre 2021 e in procinto, proprio in questi giorni, di essere estradato negli Usa. A ragione di ciò quest’organizzazione criminale ha dichiarato un vero e proprio stato di guerra dal 5 al 9 maggio (chiamato sciopero armato) nelle zone sotto il suo controllo (Costa Caraibi e Regione Andina). Il dipartimento di Antioquia è stato messo a ferro e fuoco con più di 200 veicoli dati alle fiamme, strade interrotte, esplosioni e ben 24 omicidi. Un’azione dimostrativa che da un lato manifesta la conseguenza della possibile estradizione negli Usa di Otoniel (per ora sospesa a causa di una azioni legale intrapresa dalla vittime contro lo Stato colombiano) e dall’altra vuole posizionare l’agenda e gli interessi del Clan del Golfo in vista della prossime elezioni presidenziali colombiane che si terranno il 29 maggio prossimo.

Quest’organizzazione criminale dedita al narcotraffico, estorsione, sequestro, reclutamento di minori e operazioni minerarie illegali, che conta tra i suoi alleati sul Cartello di Sinaloa e il Cartello del Nord-est (Messico), parte dell’Esercito di Liberazione Nazionale – ELN e parte delle dissidenze della Farc-Ep (entrambe formazioni narcoguerrigliere colombiane), ha dunque una struttura, una logistica e una forza militare (si stimano fino a 5000 componenti del gruppo) che ben avrebbe potuto coordinare l’omicidio di Pecci. Ma, supponendo che sia così, per conto di chi avrebbe agito il Clan del Golfo?

Uno dei sospettati è il PCC (Primer Comando Capital) brasiliano che ha enormi interessi in Paraguay, paese quest’ultimo che è considerato il più grande produttore di marijuana del Sud America, dato che rifornisce di cannabis non solo il Brasile ma anche l’Argentina, il Cile e l’ Uruguay. Insight Crime spiega poi che nelle aree rurali del Paraguay vengono stoccati i narcotici acquistati nei paesi andini per una successiva spedizione in Europa. Un traffico che si sviluppa in questo senso: in Bolivia viene processata la cocaina, in Paraguay viene stoccata e poi dai porti argentini e uruguaiani raggiunge le zone finali di distribuzione.

Pecci, che lavorava su casi di narcotraffico, criminalità organizzata, riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo aveva dato dei duri colpi a queste reti trasnazionali negli anni passati. Lo scorso febbraio ad esempio, un gruppo di Pm tra i quali c’era anche Pecci, aveva lanciato una strategia per smantellare questo traffico, chiamata “A Ultranza Py”: la più grande operazione nella storia del Paraguay contro il riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di droga. La morte di Pecci, che secondo sua moglie non aveva mai ricevuto minacce (per questo viaggiava senza scorta), cambia il panorama della regione, rendendo manifesta la crescente influenza e ambizione di potere dei gruppi criminali paraguaiani, tra i principali sospettati di essere i veri mandanti dell’omicidio.

Per ora dunque si sa che Pecci è stato ucciso in Colombia da due sicari (forse uomini del Clan del Golfo), probabilmente “assunti” da tre persone già in custodia della polizia statunitense, uomini con contatti dentro Hezbollah e con i cartelli della droga che operano in Bolivia, Brasile, Paraguay e Argentina.

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