La terza guerra mondiale c’è già, e non solo perché Papa Francesco lo va dicendo da otto anni (“Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”, 18 agosto 2014). I nostri occhi sono comprensibilmente puntati sull’invasione russa dell’Ucraina, ma sono almeno 59 i conflitti attualmente in corso nel mondo, conta l’Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled). Ci sono crisi che si trascinano da decenni, come quella fra Israele e Palestina, che è tornato a infiammarsi in queste settimane. Ci sono guerre sanguinose che coinvolgono potenze mondiali e regionali, come in Siria e in Yemen (nella foto). Ci sono focolai locali – numerosi in Africa – che spesso nascondono interessi economici e strategici lontani. Cinesi per esempio, ma anche europei, come nella tragedia senza fine del Congo, dove la corsa armata all’accaparramento delle miniere d’oro, diamanti e di altri minerali fondamentali per la produzione di smartphone e altri apparecchi tecnologici ha provocato a oggi dai 5 ai 10 milioni di morti, nel silenzio dell’opinione pubblica mondiale.
FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel nuovo numero in edicola da sabato 14 maggio racconta i più importanti fra questi conflitti, anche attraverso la voce degli operatori umanitari italiani impegnati sul campo. “Fa riflettere che Emergency sia arrivata nel 1999 in Afghanistan, con i Talebani al potere, e si ritrova nel 2022 nella stessa situazione”, commenta Luca Radaelli, che per anni ha guidato l’ospedale di Kabul gestito dall’ong milanese. In Mali si fa strage di civili in nome della lotta al terrorismo islamico, condotta fra gli altri anche dai mercenari del Gruppo Wagner, filoputiniano, che abbiamo imparato a conoscere sul terreno ucraino. A loro e all’esercito maliano Human Rights Watch attribuisce il massacro di almeno 300 civili a Moura. “Nella lotta al terrorismo, usare solo l’opzione militare, senza lavorare a quelle radici che lo alimentano, non basta, anzi, produce danni”, commenta Mario Raffaelli, già presidente dell’ong Amref. “Le situazioni di povertà e le fratture sociali finiscono per diventare i bacini dove i fondamentalisti vanno ad alimentare le loro fila”. Alle porte dell’Europa continua la crisi del Nagorno-Karabach, dove la Russia sostiene l’Armenia e la Turchia supporta l’Azerbaigian. E sono solo alcuni dei conflitti raccontati da FQ MillenniuM, a firma del reporter Christian Elia.
Comunque vada a finire in Ucraina, la “terza guerra mondiale” porterà a un nuovo ordine globale. FQ MillenniuM prova a raccontarlo attraverso le sue firme più esperte delle varie geografiche. In questa fase, a dettare l’agenda sono le potenze autoritarie. La Cina, racconta Gabriele Battaglia, punta a un modo multipolare dove tutti possano fare affari con tutti, senza che nessuno si arroghi il diritto di mettere il naso in casa d’altri in tema di regime politico, democrazia, rispetto dei diritto umani. Per questo Pechino ha mal digerito l’invasione dell’Ucraina decisa da Putin, mentre ha già cominciato a dialogare persino con il governo afghano dei vituperati talebani. E intanto, oltre che sull’Africa, ha messo le mani anche sull’economia del Sudamerica, un tempo cortile di casa degli Usa, racconta Gabriella Saba. Molto diversa la visione della Russia, narrata da Leonardo Coen, che punta a destabilizzare le democrazie occidentali e ha sancito già nel 2007, per bocca di Putin, che “il mondo unipolare è morto, ora viviamo in un mondo multipolare e gli Stati Uniti non sono più i gendarmi del mondo”.
Forse inevitabilmente, le democrazie si presentano al tavolo del nuovo ordine mondiale con visioni meno nette. Gli Stati Uniti, scrive Roberto Festa, cercano di mantenere una “egemonia liberale” usando meno armi, più diplomazia e più pressioni economiche, ma le spinte populiste e sovraniste ce le hanno in pancia, e lo spettro di un Trump che si ricandida alle presidenziali del 2024 rende il futuro assai incerto. E l’Europa? Variamente dipendente dalle altre potenze, priva di una politica e di una difesa comune, rischia di essere il vaso di coccio. E l’invasione dell’Ucraina, con le conseguenze che vediamo sull’approvvigionamento energetico e sull’economia in generale, ha peggiorato al situazione. Tanto che un esperto come Francesco Strazzari della Scuola Sant’Anna di Pisa si chiede cosa succederebbe se “dal Cremlino arrivassero proposte di accordo accettabili per i 27 Stati membri, ma non per Washington. In quel caso, un primo distacco sarebbe possibile, anche perché il progetto di autonomia energetica europeo non è realizzabile nel breve periodo”.