Domenica 15 maggio è previsto un nuovo sciopero di 24 ore sulla rete lombarda di Trenord. Sarà il primo dell’anno, ma ben il dodicesimo dall’inizio del 2021 tra quelli dei ferrovieri di Trenord e quelli dei dipendenti di FNM e RFI, che gestiscono la rete.

L’azienda lo ha reso noto con un comunicato stringatissimo: “Nella giornata di domenica 15 maggio è previsto uno sciopero del personale mobile ferroviario della società Trenord indetto dalle sigle Rsu 1A e 1B”. Non è specificato quali sono le sigle sindacali che organizzano l’agitazione, ma si parla genericamente di Rappresentanze sindacali unitarie: anche spulciando su Internet la 1A e la 1B sono impossibili da identificare. Impossibile quindi sapere chi ha indetto lo sciopero e perché.

Come mai un’azienda pubblica controllata dalla regione Lombardia non si sente in dovere di fornire spiegazioni agli utenti (mezzo milione al giorno di passeggeri)? Forse il management, oltre che essere gravemente carente nella gestione dei servizi ferroviari, è anche incapace di gestire le relazioni sindacali?

Al termine di una non facile ricerca, si scopre che si tratta dell’ottavo sciopero, dal marzo 2021, indetto dalle Rappresentanze sindacali unitarie di Cgil, Cisl, Uil e Orsa, tutti proclamati per lo stesso motivo: “Vertenza turni del personale di scorta e condotta” di Trenord.

L’azienda nata dal federalismo ferroviario è la più riottosa d’Italia, visto che nelle altre regioni (gestite tutte da Trenitalia esclusa l’Emilia Romagna) le vertenze locali causano al massimo due o tre scioperi all’anno. Siamo ben oltre il fisiologico della conflittualità sindacale e peggio delle contrattazioni del pubblico impiego.

Trenord, incapace di produrre servizi dignitosi, è anche responsabile delle peggiori relazioni industriali mai viste in un’azienda di trasporto, peggio anche di quelle di Trenitalia. Un’azienda malata, priva di qualsiasi flessibilità organizzativa, si rivela come una palla al piede per lo sviluppo della mobilità sostenibile nella regione con l’aria più inquinata d’Italia.

A far cessare le ostilità non è bastato il recentissimo rinnovo del contratto nazionale dei ferrovieri (una delle poche categorie che hanno ottenuto il rinnovo), nel quale è contenuto un aumento al livello medio di 110 euro e una “una tantum” di 500 euro relativa all’anno 2021. Neanche quello – sottoscritto da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Orsa Ferrovie e Fast Confsal – del contratto aziendale per il personale del gruppo Fs (che comprende gli addetti di Trenord), che prevede un aumento di 200 euro l’anno sul welfare sanitario, l’incremento dell’1% al mese a carico dell’azienda della quota destinata alla previdenza integrativa e un premio di risultato per il 2021 di 850 euro.

Il perdurare di questo conflitto tra Trenord e le Rsu è incomprensibile, e a subirne le conseguenze sono solo i pendolari di quella che è la più estesa rete ferroviaria regionale, ma anche una delle peggiori in termini di qualità. Basti pensare che la puntualità nel 2019 in Lombardia è stata dell’84,4%, mentre nelle altre regioni si è raggiunto anche il 90%.

Non solo: Trenord è la ferrovia regionale con i costi di gestione più alti d’Italia. Eppure quando è nata, nel 2012, il presidente Roberto Formigoni aveva annunciato massima puntualità, comfort, “relazioni sindacali innovative” e sicurezza d’esercizio. Cosa aspetta il presidente della regione Attilio Fontana ad intervenire? Possibile che non abbia a cuore il buon andamento delle ferrovie regionali fino al punto di tollerare una gestione disastrosa e costosissima da parte di un management superpagato? Il consociativismo non paga sul piano dei servizi ma solo su quello del consenso.

Se la responsabilità manageriale appare evidente, anche quella sindacale non può essere sottaciuta. Non solo perché sembra essere sfuggita di mano alle strutture regionali, ma anche perché erano state proprio tutte le sigle sindacali a benedire la nuova compagnia ferroviaria, approvata anche da tutti i partiti. È chiaro che gli interessi corporativi prevalgono per entrambe le parti in gioco dato il carattere “normativo” della vertenza, cioè la questione del passaggio dalla gestione manuale dei turni di macchinisti e capitreno ad una informatizzata (Arco) costata 6 milioni di euro e inutilizzata da 10 anni.

Nonostante la conflittualità, comunque, presto si troveranno tutti d’accordo, azienda e sindacati, nel rinnovare il contratto di servizio a Trenord per altri dieci anni dal 2023, con affidamento diretto (quindi senza gara). E tutti i partiti approveranno di nuovo questa decisione che contrasta con le indicazioni europee. Per la concorrenza – che ha rilanciato negli ultimi vent’anni i trasporti pubblici in tutto il nord Europa – ci sarà da aspettare ancora, rischiando che il numero dei pendolari diminuisca anziché crescere come dovrebbe anche per rispettare gli obiettivi della transizione ecologica.

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