Centinaia di soldati russi si sono rifiutati di tornare a combattere in Ucraina, una scelta per cui non possono essere condannati, perché – per il Cremlino – quella giunta al 79esimo giorno non è una guerra, ma un'”operazione militare speciale”. La notizia, riportata dal Guardian, evidenzia le ingenti perdite riportate dall’esercito del presidente, Vladimir Putin, che per supplire ai danni subiti ha chiesto aiuto al battaglione Wagner.
Il racconto – All’inizio di aprile, dopo aver prestato servizio a febbraio, la brigata d’élite russa di cui faceva parte Dmitri – membro dell’unità che ha chiesto di non essere identificato con il suo vero nome – fu richiamata al fronte per un secondo dispiegamento in Ucraina. Tuttavia, lui e altri otto compagni si rifiutarono di rispettare l’ordine. La reazione inaspettata prese alla sprovvista i superiori: “Divenne presto chiaro che non tutti volevano combattere. Molti di noi semplicemente non volevano tornare indietro”, ha spiegato al giornale inglese. “Voglio tornare alla mia famiglia – ha proseguito il soldato, ora di stanza a Belgorod – e non in una bara”. I comandanti, a detta di Dmitri, “erano furiosi. Ma alla fine si sono calmati perché non c’era molto che potessero fare“.
La legge controproducente – “Ho servito per cinque anni nell’esercito. Il mio contratto termina a giugno. Servirò il mio tempo rimanente e poi sono fuori di qui”, ha detto. “Non ho nulla di cui vergognarmi. Non siamo ufficialmente in uno stato di guerra, quindi non hanno potuto costringermi ad andare”. Secondo le regole militari russe, infatti, gli obiettori – in questo caso specifico – non possono essere perseguiti, ma solo licenziati. Mikhail Benyash, un avvocato che ha aiutato i soldati che optano per questa alternativa, ha raccontato al Guardian che “centinaia e centinaia” di soldati hanno contattato la sua squadra per consigli su come evitare di essere mandati in Ucraina. “I comandanti cercano di minacciare i loro soldati con il carcere se dissentono, ma noi diciamo ai soldati che possono semplicemente dire di no“, ha detto Benyash, che allo stato attuale non è al corrente di condanne contro i renitenti: “Non ci sono basi legali per avviare un procedimento penale se un soldato si rifiuta di combattere mentre si trova sul territorio russo”, ha concluso.
I numeri – La storia di Dmitri, simile a quella di Sergey Bokov – un soldato di 23 anni che alla fine di aprile ha deciso di lasciare l’esercito russo – mettono in luce un problema che potrebbe complicare la realizzazione dei progetti del presidente Vladimir Putin: una grave carenza di soldati di fanteria. Le forze di combattimento schierate sul terreno di guerra inizialmente – 150mila uomini – hanno subito ingenti danni. Oltretutto, al nemico ucraino si aggiunge lo scoraggiamento delle truppe: anche loro erano certi che il conflitto sarebbe durato poco. “Putin deve prendere una decisione sulla mobilitazione nelle prossime settimane”, ha detto Rob Lee, un analista militare. “In Russia mancano sufficienti unità di terra con soldati a contratto per una rotazione sostenibile. Le truppe si stanno esaurendo, non saranno in grado di mantenere questo per un lungo periodo”. Non potendo ricorrere alle reclute, il Cremlino ha ingaggiato il battaglione Wagner, truppe di mercenari vicine a Putin – per molti una delle sue armi segrete, forse la più pericolosa. Eppure, gli analisti hanno dichiarato che questo aiuto non compenserà le perdite subite. Per Andrei Kolesnikov, senior fellow del Carnegie Endowment, i russi “potrebbero essere a favore del conflitto, ma in realtà non vogliono combattere“, tanto che una mobilitazione generale comporterebbe “perdite colossali di soldati non addestrati”.
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Ucraina, “centinaia di soldati russi si rifiutano di combattere. Possono solo essere licenziati perché ufficialmente non è una guerra”
Il Guardian ha intervistato alcuni soldati che hanno scelto di disobbedire agli ordini. Il presidente, Vladimir Putin, ha sempre definito il conflitto "operazione militare speciale". Ciò permette agli obiettori di non essere perseguiti dalla legge. Chi rifiuta di tornare in Ucraina viene "solo" licenziato
Centinaia di soldati russi si sono rifiutati di tornare a combattere in Ucraina, una scelta per cui non possono essere condannati, perché – per il Cremlino – quella giunta al 79esimo giorno non è una guerra, ma un'”operazione militare speciale”. La notizia, riportata dal Guardian, evidenzia le ingenti perdite riportate dall’esercito del presidente, Vladimir Putin, che per supplire ai danni subiti ha chiesto aiuto al battaglione Wagner.
Il racconto – All’inizio di aprile, dopo aver prestato servizio a febbraio, la brigata d’élite russa di cui faceva parte Dmitri – membro dell’unità che ha chiesto di non essere identificato con il suo vero nome – fu richiamata al fronte per un secondo dispiegamento in Ucraina. Tuttavia, lui e altri otto compagni si rifiutarono di rispettare l’ordine. La reazione inaspettata prese alla sprovvista i superiori: “Divenne presto chiaro che non tutti volevano combattere. Molti di noi semplicemente non volevano tornare indietro”, ha spiegato al giornale inglese. “Voglio tornare alla mia famiglia – ha proseguito il soldato, ora di stanza a Belgorod – e non in una bara”. I comandanti, a detta di Dmitri, “erano furiosi. Ma alla fine si sono calmati perché non c’era molto che potessero fare“.
La legge controproducente – “Ho servito per cinque anni nell’esercito. Il mio contratto termina a giugno. Servirò il mio tempo rimanente e poi sono fuori di qui”, ha detto. “Non ho nulla di cui vergognarmi. Non siamo ufficialmente in uno stato di guerra, quindi non hanno potuto costringermi ad andare”. Secondo le regole militari russe, infatti, gli obiettori – in questo caso specifico – non possono essere perseguiti, ma solo licenziati. Mikhail Benyash, un avvocato che ha aiutato i soldati che optano per questa alternativa, ha raccontato al Guardian che “centinaia e centinaia” di soldati hanno contattato la sua squadra per consigli su come evitare di essere mandati in Ucraina. “I comandanti cercano di minacciare i loro soldati con il carcere se dissentono, ma noi diciamo ai soldati che possono semplicemente dire di no“, ha detto Benyash, che allo stato attuale non è al corrente di condanne contro i renitenti: “Non ci sono basi legali per avviare un procedimento penale se un soldato si rifiuta di combattere mentre si trova sul territorio russo”, ha concluso.
I numeri – La storia di Dmitri, simile a quella di Sergey Bokov – un soldato di 23 anni che alla fine di aprile ha deciso di lasciare l’esercito russo – mettono in luce un problema che potrebbe complicare la realizzazione dei progetti del presidente Vladimir Putin: una grave carenza di soldati di fanteria. Le forze di combattimento schierate sul terreno di guerra inizialmente – 150mila uomini – hanno subito ingenti danni. Oltretutto, al nemico ucraino si aggiunge lo scoraggiamento delle truppe: anche loro erano certi che il conflitto sarebbe durato poco. “Putin deve prendere una decisione sulla mobilitazione nelle prossime settimane”, ha detto Rob Lee, un analista militare. “In Russia mancano sufficienti unità di terra con soldati a contratto per una rotazione sostenibile. Le truppe si stanno esaurendo, non saranno in grado di mantenere questo per un lungo periodo”. Non potendo ricorrere alle reclute, il Cremlino ha ingaggiato il battaglione Wagner, truppe di mercenari vicine a Putin – per molti una delle sue armi segrete, forse la più pericolosa. Eppure, gli analisti hanno dichiarato che questo aiuto non compenserà le perdite subite. Per Andrei Kolesnikov, senior fellow del Carnegie Endowment, i russi “potrebbero essere a favore del conflitto, ma in realtà non vogliono combattere“, tanto che una mobilitazione generale comporterebbe “perdite colossali di soldati non addestrati”.
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Almasri, ora la maggioranza vuole eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale. M5s e Pd: “Così pm sotto il governo e politici impuniti”
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Vespa scatenato difende il governo: “Ogni Stato fa cose sporchissime”. Opposizioni: “Superato il limite”
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Altri 43 migranti tornano in Italia dai centri in Albania. Presidente Meloni, errare è umano, perseverare è diabolico. Quanti altri viaggi a vuoto dovremo vedere prima che si metta fine a questa pagliacciata costosa per i contribuenti?”. Così Matteo Ricci, europarlamentare Pd, in un post sui social.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Terzo flop del ‘modello Albania’: la Corte d’Appello di Roma smonta l’ennesima trovata propagandistica del governo Meloni, sospendendo i trattenimenti e disponendo il trasferimento in Italia dei migranti deportati. Per la terza volta, la destra ha provato a forzare la mano e per la terza volta è stata bocciata. Hanno sprecato milioni di euro pubblici, violato diritti fondamentali e messo in piedi un’operazione disumana, solo per alimentare la loro propaganda. Un fallimento su tutta la linea, mentre il Paese affonda tra tagli alla sanità, precarietà e crisi sociale. Ora che farà Meloni? Toglierà la competenza anche alle Corti d’Appello per accentrarla a Palazzo Chigi?”. Così Alessandro Zan, responsabile Diritti nella segreteria nazionale Pd ed europarlamentare.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "La Corte d’Appello di Roma libera di nuovo immigrati irregolari per i quali potevano essere eseguite rapidamente le procedure di rimpatrio e rimette ancora la palla alla Corte di Giustizia Europea sulla questione dei Paesi sicuri. Le ordinanze che non convalidano i trattenimenti nel centro in Albania e che rimettono alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale, insistono sull’individuazione in via generale ed astratta dei “paesi sicuri”, ripercorrendo le motivazioni delle decisioni precedenti, senza giudicare delle posizioni dei singoli migranti. Peccato che la Corte di Cassazione ha ampiamente chiarito, lo scorso dicembre, che questa è una competenza del Governo e non della magistratura. Incredibile che la Corte d’Appello di Roma abbia considerato irrilevante questo principio e insista nel voler riconoscere ai singoli magistrati un potere che è esclusiva prerogativa dello Stato”. Lo dichiara la deputata di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, responsabile del Dipartimento immigrazione.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Non stupisce la decisione della Corte d’Appello di Roma di bloccare, per l’ennesima volta, una misura, tra l’altro apprezzata anche in Europa, con cui l’Italia vuole fronteggiare l’immigrazione massiccia e garantire la sicurezza nazionale. I magistrati non usino il loro potere per contrastarne un altro, riconosciuto dalla costituzione e legittimato dagli italiani”. Lo dichiara il deputato della Lega Igor Iezzi.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “La Corte d’Appello di Roma libera ancora dei migranti irregolari che potevano essere rapidamente rimpatriati, rimandando di nuovo alla Corte di Giustizia Europea sulla questione dei paesi sicuri. Ma la Corte di Cassazione aveva chiarito che questa è una competenza del Governo. Evidentemente alcuni tribunali italiani considerano irrilevanti i principi fissati dalla Suprema Corte. Di fronte a questo non posso che esprimere profondo stupore". Lo dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “E anche oggi si certifica il fallimento di Meloni. I Centri per i migranti in Albania non sono la risposta al fenomeno migratorio, che richiede rispetto per i diritti umani e condivisione delle responsabilità a livello europeo. Nei comizi Meloni potrà continuare a dire che fun-zio-ne-ran-no ma nella realtà sono solo uno spreco immane di risorse. Se quei fondi fossero stati spesi per assumere infermieri e medici, o per aumentare gli stipendi di quelli che già lavorano nella sanità pubblica, allora si’ che sarebbero stati utili agli italiani!”. Così in una nota Marina Sereni, responsabile Salute e sanità nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “Quella dei Cpr in Albania è una gigantesca buffonata. Siamo di fronte a centri totalmente inutili nella gestione del fenomeno migratorio, pasticciato sul piano giuridico, lesivi dei più elementari diritti umani e anche costosissimi. Il governo dovrebbe scusarsi pubblicamente, chiudere i centri e destinare gli ottocento milioni di euro che finiranno in questi luoghi inutili e dannosi a sostegno della sanità pubblica”. Così in una nota, Pierfrancesco Majorino, responsabile immigrazione nella segreteria nazionale del Pd.