Un 'no' che vale molto, quello di Erdoğan, dato che, come stabilito dall'articolo 10 del Trattato, per accogliere altri Paesi nell'Alleanza è necessario il voto unanime di tutti i 30 Paesi membri. Certo è che la politica di Ankara, che ha ammesso le responsabilità di Mosca nel conflitto ucraino, ma si è rifiutata di imporre sanzioni agli uomini e alle istituzioni considerate vicine al Cremlino, è stata in assoluto la più morbida tra i Paesi del Patto Atlantico
Se tra i piani di Putin c’era anche quello di incrinare i rapporti all’interno della Nato, a due mesi e mezzo circa dall’invasione si nota la prima importante crepa. Protagonista della tensione interna all’Alleanza è di nuovo la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan che, mentre gli Stati Uniti e i principali Paesi del Patto aprono le porte alle storicamente neutrali Svezia e Finlandia che chiedono protezione dal rischio di un attacco di Mosca, mette il proprio veto. È lo stesso presidente turco a dichiarare che l’adesione dei due Paesi sarebbe un “errore”. Parole che hanno portato i due Paesi a chiedere un incontro alla Turchia sul tema, mentre gli altri membri dell’Alleanza continuano a dirsi favorevoli all’ingresso di Stoccolma ed Helsinki.
Un ‘no’ che vale molto, quello di Erdoğan, dato che, come stabilito dall’articolo 10 del Trattato, “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni Stato così invitato può divenire parte del Trattato depositando il proprio strumento di adesione presso il governo degli Stati Uniti d’America. Il governo degli Stati Uniti d’America informerà ciascuna delle parti del deposito di ogni strumento di adesione”. Tradotto: senza la volontà unanime di tutti i 30 Paesi membri, Svezia e Finlandia rimarrebbero escluse dall’Alleanza.
Le motivazioni addotte da Ankara non riguardano però i rischi per la sicurezza legati al conflitto in corso in Ucraina scatenato dall’invasione ordinata da Vladimir Putin. Il presidente turco “non vuole che si ripeta lo stesso errore commesso con l’adesione della Grecia” e ha accusato Stoccolma ed Helsinki “di ospitare terroristi del Pkk“, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan considerato una formazione terroristica dall’esecutivo di Erdoğan. “Non abbiamo un’opinione positiva”, ha insistito il capo dello Stato.
Se si tratti solo di questo o se la questione curda, tema molto sensibile ad Ankara, venga utilizzata come un pretesto dal Paese che in seno all’Alleanza si è dimostrato in assoluto il più prudente sulle azioni contro il Cremlino, non è dato saperlo. Certo è che la politica di Erdoğan, che ha ammesso le responsabilità di Mosca nel conflitto ucraino ma si è allo stesso tempo rifiutato di imporre sanzioni agli uomini e alle istituzioni considerate vicine al Cremlino, è stata in assoluto la più morbida tra i Paesi del Patto Atlantico. Questo anche nel tentativo di ritagliarsi un ruolo da mediatore tra le parti che gli permetterebbe di avanzare importanti richieste, soprattutto nei confronti degli alleati europei e americani. Con quest’ultimi, tra l’altro, il governo si era già scontrato per l’acquisto del sistema missilistico S-400 proprio da Mosca.
I governi dei due Paesi europei non si sono però dati per vinti e hanno fatto sapere di voler discutere con la Turchia della loro adesione all’Alleanza, cercando di superare le divergenze, in occasione della riunione informale dei Ministri degli Esteri della Nato che in programma sabato a Berlino. Anche il presidente americano, Joe Biden, ha avuto un colloquio di circa mezz’ora con la premier svedese, Magdalena Andersson e il presidente finlandese, Sauli Niinisto, assicurando “il suo sostegno alla politica delle porte aperte della Nato e al diritto di Finlandia e Svezia di decidere il proprio futuro, la propria politica estera e le proprie disposizioni in materia di sicurezza”.