La testimonianza di Riccardo Coletti dal Donbass è questa: “E’ angosciante assistere ed essere sotto tiro di un’artiglieria che spara e colpisce anche a grande distanza senza sapere esattamente chi o cosa colpisce. Si sa solo che lo scopo è distruggere qualunque cosa o persona che tenti di fermare l’avanzata russa nel territorio ucraino, col pretesto di liberarsi dai nazisti che l’hanno occupato”.
Chi sperava che l’anniversario del 9 maggio (vittoria dei russi in Ucraina contro i nazisti) potesse fornire ai belligeranti una buona occasione per tentare una tregua, essendo la stessa festa per entrambi, è rimasto deluso. Nessuno dei due paesi in guerra osa ancora pronunciare la parola pace. Ma se da un lato una vera “pace” sembra impossibile da chi ha subito l’ignobile mattanza voluta da Putin, lui che invece la guerra l’ha voluta e tuttora la conduce con totale disprezzo di chiunque altro osi immischiarsi in affari non suoi dovrebbe almeno capire che il tempo non gioca a suo favore.
Quello che risalta subito agli occhi anche dei “non addetti ai lavori” è l’assoluta volontà di Putin di terminare questa (lugubre) avventura con una vittoria che lo consacri indiscutibilmente “Zar di tutte le russie”. Una conquista che forse sogna fin dalla sua prima elezione al vertice della Russia post sovietica. Come peraltro testimoniano anche i suoi precedenti atteggiamenti a torso nudo, a imitazione del Mussolini conquistatore, mentre cavalca impettito in sella a un magnifico destriero, immedesimandosi col pensiero al grande Cesare di ritorno dalle conquiste galliche, osannato da tutti e contornato da un folto nugolo di pretoriani adoranti.
La grandezza della sua Russia non ha nulla da invidiare, sul piano territoriale, a quella del grande impero romano (vedasi la piantina Zanichelli 1985 dell’Europa politica al tempo dell’Urss e i loghi del film capolavoro naturalista Dersu Uzala che racconta l’affascinante grandezza e durezza della vita in quell’immenso territorio). Benché sia comprensibile che chi è già in parte a capo di una simile vastità territoriale e sogna di guidarla a fasti ancor più grandiosi, non si accontenti di mezze misure, dall’altro lato non può certo sperare di mettere in ginocchio l’intero mondo per arrivarci. Per di più brandendo a minaccia l’unica arma letale del suo arsenale, l’arma atomica (che peraltro non è l’unico a possedere!).
Poteva andargli bene se fosse riuscito col suo blitz iniziale a ottenere una resa pressoché immediata degli ucraini ma ora, con l’America che gli ride in faccia per nulla preoccupata delle sue minacce e con l’Europa che, seppure intimorita (in parte del popolo, non nei governi) dalla vicinanza del tracotante guerriero, è protetta da una superpotenza militare ed economica come gli Usa e da una super-organizzazione militare (la Nato) creata proprio allo scopo di controllare i colpi di testa “dell’Orso Polare” europeo, non può non capire che tutto questo è già piazzato da tempo tutt’intorno alla Russia nel caso che non bastino gli ucraini da soli a fargli cambiare idea.
La sua tecnica è terrorizzare (come fanno i mafiosi), quindi non bisogna mai far vedere che davvero lo si teme, perché è l’unico modo per farlo vincere di sicuro: alzerebbe l’asticella delle minacce e la gravità delle sue persecuzioni. Lui continua a minacciare fuoco e fiamme ma alla fine scatenerebbe l’inferno a casa sua ancor prima che in casa d’altri. Il suo pretesto di avere invaso l’Ucraina per liberarla dai nazisti non sta in piedi, quello è un lavoro per le polizie, non per gli eserciti e i carri armati. Quella scusa può funzionare per la sua propaganda interna, non certo per gli strateghi politici internazionali, che hanno già valutato perfettamente quello che può o non può fare in concreto. Più si allontana dal giorno del blitz iniziale e più crescono i problemi; per lui più che per chiunque altro.
La sua strategia non può essere di lungo periodo: quando in aggiunta alle bare che tornano a casa si aggiungeranno le sanzioni economiche che renderanno ancor più greve la povera vita della sua gente, che non ha mai smesso di emigrare nemmeno molti anni dopo la caduta del comunismo, si accorgerà finalmente che questa guerra non potrà mai vincerla, tantomeno con la minaccia nucleare, che se avviata farebbe strage anche del suo stesso popolo russo. Allora succederebbe anche a lui quello che succede a tutti i dittatori quando tirano troppo la corda oppure sarà già fortunato se riuscirà a terminare la sua esistenza in un carcere occidentale.