di Roberta Ravello
Uteri in affitto, maternità surrogata, gestazione per altri sono argomenti divisivi nel femminismo.
In queste ultime settimane il partito di Giorgia Meloni ha depositato un disegno di legge in Commissione Giustizia alla Camera per rafforzare il divieto dell’utero in affitto rendendo la maternità surrogata un reato universale: la proposta è stata votata in modo compatto da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e dal gruppo Misto e sostenuta da Mara Carfagna.
Per regolamentare la gestazione solidale (cioè a titolo gratuito) per altri, al contrario, c’è una proposta presentata ad aprile 2021 dai deputati Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa. Un testo incardinato dall’associazione Coscioni e Certi Diritti che incarna dunque la posizione delle sinistre sul tema.
In Italia esiste già il divieto di gestazione per altri. Questo significa che portare avanti una gravidanza per altri a titolo gratuito o dietro compenso è illegale sulla base della legge 40 del 2004 sulle norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Per questo, nel nostro Paese, chiunque “realizza, organizza o pubblicizza” la surrogazione di maternità può essere punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600mila fino a un milione di euro.
La proposta delle destre vorrebbe però inasprire il divieto rendendo la gestazione per altri un “reato universale” dove le pene si applicherebbero anche se il fatto fosse commesso all’estero.
Come funziona in altri paesi. Ce ne sono alcuni, come l’India, dove la gestazione per altri è possibile anche a livello commerciale, ed altri, come Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Belgio e Portogallo, che hanno legalizzato la maternità surrogata solo a titolo gratuito.
Ora, il punto che mi preme sottolineare qui, è come il femminismo, tradizionalmente di sinistra, si divida sugli uteri in affitto segnando anche una frattura generazionale. Mentre le femministe “datate” tendono ad essere contrarie alla gestazione per altri, perché la vedono come commercializzazione del corpo della donna, le femministe di ultima generazione spostano la questione sulla libertà di decidere del proprio corpo.
Che ci possano essere problemi etici anche nella gestazione per altri a titolo gratuito (visto che potrebbero esserci transazioni economiche in “nero”) non c’è dubbio. Tuttavia, dove esiste una legalizzazione non commerciale, le madri surrogate possono reclamare apertamente solo le spese vive, quindi il pericolo di sfruttamento finanziario è ridotto e non ci sono grandi società che realizzano profitti.
Da che parte stare se si è femministe? Per me femminismo intersezionale significa che se una donna dice che sta pienamente acconsentendo e comprendendo la scelta che ha fatto, va rispettata. Il fatto che siano le destre, anche quelle contrarie all’aborto, a contrastare la maternità surrogata la dice lunga sul fatto che il divieto rafforzi il patriarcato, e non viceversa.
Dove la maternità surrogata commerciale non è legale, la donna che gestisce conserva tutti i diritti sul feto in ogni momento fino all’ultimo. Affermare che solo donne povere e ignoranti ricorrono a questa pratica non equivale alla realtà fattuale. Le madri surrogate variano in background e stili di vita. Impedire a una donna di fare questa scelta, la priva di diritti e non la rafforza nella sua autonomia decisionale.
Donare un rene non è vietato neppure in Italia, perché allora scandalizzarsi se una donna decide di mettere a disposizione il proprio utero per una coppia di amici omosessuali, o per una sorella che non può avere figli? La genitorialità non può essere definita solo dall’utero di gestazione, bensì da chi si assume la responsabilità affettiva, morale, economica di crescere un bambino. Per questo, da femminista, io mi sento di non appoggiare le destre nella loro pretesa di vietare la gestazione per altri a titolo altruistico in modo universale.