Indovinate qual è l’elettrodomestico più pericoloso in Corea del Sud? A grande sorpresa è il ventilatore elettrico. Secondo gran parte della popolazione coreana, infatti, le pale rotanti di un ventilatore creerebbero un vuoto davanti al volto e il flusso d’aria che ne deriva indurrebbe un insufficiente apporto di ossigeno ai polmoni causando la morte di molte persone. In pratica l’elettrodomestico lasciato in funzione di notte, in una stanza chiusa, può provocare il decesso di chi vi si trova all’interno.

Si tratta ovviamente di una stravagante teoria, a metà strada tra leggenda popolare e superstizione, originatasi in Corea e poi diffusasi in altri paesi del Sud-est asiatico. Ma come è nata? La Corea del Sud è un paese dal tasso di umidità molto alto e la gente dorme con il ventilatore acceso. Per cui, la mattina seguente, il riscontro di alcune morti (di notte si muore purtroppo in tutte le parti del mondo per embolie, infarti, emorragie cerebrali) determina un falso rapporto causa-effetto che associa alle morti notturne la presenza del ventilatore in camera. È un po’ come se, nei paesi del Nord Europa, i decessi notturni venissero associati alla presenza di un termosifone nella stanza.

Questa credenza negli anni è dilagata al punto che ormai, in alcuni paesi del Sud-est asiatico, i ventilatori vengono commercializzati con temporizzatore e con la precisa raccomandazione a non usarli dove si dorme. In più, ogni estate, i giornali e le televisioni danno risalto alle presunte morti dovute ai ventilatori lasciati inavvertitamente in funzione durante il sonno.

La ‘morte da ventilatore’ per molti esiste davvero!

Questa storia è solo una delle tante teorie strampalate a cui abbiamo, scienziati compresi, creduto per decenni. Abbiamo davvero pensato che la Grande Muraglia cinese si vedesse dalla luna o che i girasoli seguissero il sole cambiando orientamento. Falsi miti che hanno resistito nel tempo e per i quali un ruolo decisivo è stato svolto dalle percezioni e dalle coincidenze. Nell’ambito della salute pubblica però il problema risulta ancora più grave, perché la base del pensiero e del metodo scientifico oggi è corrosa dalle fake news.

Tra i falsi rapporti causa-effetto, uno dei più radicati e famosi rimane quello tra vaccini e autismo. Per un po’, dopo la pubblicazione fraudolenta di Andrew Wakefield (ex medico britannico poi radiato), uscita sull’argomento a fine anni Novanta, in molti hanno creduto alla correlazione tra vaccinazioni e insorgenza di disturbi dello spettro autistico. Oggi sappiamo che non esiste alcun rapporto causa-effetto, come la comunità scientifica internazionale, in maniera praticamente unanime, conferma da anni con centinaia di contributi e ricerche. Ma questa ‘bufala’ resiste ancora.

In questo contesto cresce l’importanza di una divulgazione scientifica chiara e accurata, che aiuti le persone a distinguere il vero dal falso, a sviluppare la capacità di pensiero critico e a spiegare come e dove trovare l’informazione più attendibile, distinguendo tra fatti, opinioni e credenze. La recente pandemia da Covid-19 ha enfatizzato e reso indispensabile l’approfondimento di questo tipo di comunicazione. Tale attività consente ai divulgatori o ai professionisti della comunicazione della salute pubblica di monitorare ondate di disinformazione, di pianificare interventi mirati a controbilanciare le informazioni errate, e soprattutto a contenere le cosiddette ‘epidemie della paura’.

La rete ha favorito la nascita di un nuovo paradigma per la trasmissione della conoscenza. Ma, nonostante tutto, alcune derive culturali spingono verso la pseudoscienza, tra disinformazione e sensazionalismo. In un mondo di false notizie che viaggiano alla velocità di un click, la vera sfida oggi è dimostrare che ci si può fidare delle ragioni della scienza moderna, nonostante non riesca sempre a farsi capire.

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