Il messaggio è rivolto a tutti gli aspiranti sindaci, ma è solo l’ex rettore Roberto Lagalla a contare sul sostegno di due condannati per reati connessi alla mafia. L'esponente di centrodestra non risponde nel merito: "Contro di me una macchina del fango"
Mancano solo pochi giorni per i trent’anni della strage di Capaci e il clima per le elezioni palermitane si fa sempre più rovente. L’ultimo appello è stato lanciato proprio da Maria Falcone a meno di dieci giorni dal prossimo 23 maggio, giorno in cui ricorreranno trent’anni precisi dalla morte del fratello, della cognata e della scorta: “Chi si candida a ricoprire una carica importante come quella di sindaco e qualsiasi altra carica elettiva – ha detto la sorella del magistrato ucciso dalla mafia – deve esplicitamente prendere le distanze da personaggi condannati per collusioni mafiose”.
L’appello è rivolto a tutti i candidati ma è solo quello di centrodestra, l’ex rettore Roberto Lagalla a contare il sostegno non di uno ma di due condannati per reati connessi alla mafia. Il primo endorsement assoluto, quando ancora il centrodestra affogava nel guado delle faide interne senza trovare una convergenza comune sul candidato, è arrivato, infatti, da Marcello Dell’Utri. Sbarcato a Palermo nei mesi scorsi l’ex senatore forzista ha dato l’imprinting alla campagna elettorale dalle stanze dell’Hotel delle Palme dove ha incontrato i vertici del centrodestra siciliano. “Ho espresso solo opinioni”, ha detto a più riprese. Intanto, il candidato su cui aveva puntato le fiche è stato proprio quel Lagalla sul quale alla fine tutte le spaccature dei partiti si sono improvvisamente ricomposte, e gli altri 5 candidati del centrodestra hanno dovuto cedere il passo al prescelto di Dell’Utri. Condannato per concorso esterno a sette anni, l’ex senatore e fondatore di Forza Italia, ha scontato 4 anni in carcere e uno e mezzo ai domiciliari, dopo la sentenza della cassazione nel 2014. Sentenza che lui aveva atteso in Libano, dopo giorni in cui era completamente sparito dai radar, proprio poco prima che venisse pronunciata la condanna definitiva. Fu poi Silvio Berlusconi a spiegare la sua “fuga” così: “L’ho spedito a Beirut qualche giorno fa perché Vladimir Putin mi ha chiesto di sostenere la campagna elettorale di Amin Gemayel (l’ex presidente che aspirava alla ricandidatura”. Spedito lì, una decina di giorni prima della condanna definitiva, finita di scontare ai domiciliari nel 2019. Mentre l’anno prima era stato condannato a 12 anni nel processo sulla Trattativa. Una sentenza ribaltata però lo scorso settembre quando cioè è stato assolto per “non avere commesso il fatto”. Così, poco dopo il braccio destro di Berlusconi parlava di “quella gran minchiata della Trattativa”, in un’intervista fiume su Il Foglio. E tutto si accumula in questi giorni che precedono il trentennale.
Mentre il clima politico si arroventa, è atteso il deposito delle motivazioni della sentenza di secondo grado della corte d’Assise di Palermo che ha in parte ribaltato il verdetto di primo grado sulla Trattativa (condanna confermata solo per i mafiosi che avevano fatto pressioni su politica e istituzioni). Le motivazioni erano attese 90 giorni dopo la pronuncia, ma la corte ha chiesto ben due rinvii da allora. A pochi giorni del trentennale dell’Attentatuni, quindi, l’attesa per sapere perché il perché delle assoluzioni si fa sempre più fervida. Intanto nei giorni scorsi è stato Matteo Salvini a prendere le distanze dalla “puzza di mafia”: “Dove c’è puzza di mafia io mi tengo ben lontano – ha detto il leader del Carroccio fuori dall’Hotel delle Palme dove alloggiava giovedì prima dell’udienza sul caso Open Arms – le liste di Prima l’Italia sono fatte di donne e uomini per bene”. Ma si è rimesso al candidato: “Mi fido di Lagalla, sarà lui a giudicare chi coinvolgere e chi no. Diciamo che preferisco che per la Sicilia decidano altri… e non le persone che ha citato”. Ad essere citati erano stati proprio Dell’Utri e Cuffaro. Eppure era stato Salvini stesso ad incontrare Cuffaro a Palermo negli scorsi mesi, cioè nel vivo degli scontri del centrodestra siciliano.
E se Dell’Utri ha dato la benedizione alla candidatura dell’ex rettore, è stato proprio Totò Cuffaro a dare la sterzata finale. L’ex presidente della Regione, dimissionario dopo la condanna per favoreggiamento alla mafia, sembrava deciso a dare il suo appoggio al candidato voluto da Gianfranco Micciché, Francesco Lo Cascio, ma in extremis, proprio mentre Cascio presentava ufficialmente la candidatura, Cuffaro lanciava una nota in cui annunciava la sua assenza alla presentazione e pochi giorni dopo ha comunicato l’appoggio a Lagalla, di fatto dando il ben servito all’altro candidato. Di lì a poco, infatti, anche Micciché avrebbe rinunciato alla corsa di Cascio e il centrodestra avrebbe ritrovato compattezza (ma solo su Palermo). È così che il radiologo, ex rettore, assessore del presidente in carica, Nello Musumeci (si è dimesso solo per correre alle Comunali), candidatosi con l’Udc ha avuto la spinta di Dell’Utri prima e di Cuffaro dopo, mentre riceveva il vessillo di Fratelli d’Italia, diventando il cavallo della Meloni al tavolo del centrodestra.
Lagalla, che è stato molto apprezzato come rettore, partiva dal centro, ma è adesso il candidato di un centrodestra molto spostato a destra (e molto ampio: ci sono pure i renziani) e con l’appoggio di due condannati. Un contesto elettorale che si è raggruppato dietro l’ex rettore proprio l’anno che segna una netta distanza temporale dalle stragi. Trent’anni dopo, il timore, è che sia tutto come prima e non poteva mancare la levata di scudi. A cominciare dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che per primo sollevò la questione, per continuare con il fratello di Francesca Morvillo: “A trent’anni dalle stragi la Sicilia è in mano a condannati per mafia”, ha detto il magistrato Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone. Mentre anche dal Centro Studi Pio La Torre già venerdì avevano chiesto una “chiara posizione sul tema della legalità e dell’antimafia rifiutando pubblicamente, prima di tutto, ogni sponsorizzazione da uomini pregiudicati per collusione col sistema politico-mafioso e facendo conoscere i propri programmi di contrasto e di prevenzione antimafia sul piano culturale, politico e amministrativo”. Così che Lagalla non può evitare l’argomento: “Chi conosce la mia storia sa perfettamente quale sia il mio rapporto di fedeltà alle istituzioni e di rifiuto verso ogni comportamenti men che legittimo. Riguardo dell’Utri posso dire che ha espresso un parere all’interno di un dibattito di partito in cui io ero convitato di pietra, perché estraneo al dibattito. E su Cuffaro dico che ha scontato un proprio debito con la giustizia e oggi è l’esponente, certamente non operativo, di una forza politica che tutti hanno ricercato, a cominciare da mondo della Sinistra”. E conclude invitando a non strumentalizzare: “Invito quanti hanno voluto sollevare polemiche a non strumentalizzare fatti inesistenti alimentando una macchina del fango che dimostra solo la pochezza ideale e di contenuto dei suoi manovratori”. Ma la sorella di Falcone chiede di più: “Chi aspira a rappresentare la capitale dell’antimafia, la città di Falcone e Borsellino – ha detto Maria Falcone – senza alcuna titubanza prenda posizione rifiutando endorsement di personaggi impresentabili”.