La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ha convinto Svezia e Finlandia a rinunciare alla loro storica neutralità. Lo si era capito dalle tempistiche, con Helsinki che ha già presentato richiesta formale di adesione alla Nato e Stoccolma che, invece, lo farà nei prossimi giorni, ma oggi i due Paesi lo hanno dichiarato ufficialmente. “Se restassimo fuori dalla Nato saremmo molto vulnerabili”, ha detto la premier svedese Magdalena Andersson. “È una Russia diversa, bisogna stare attenti e vigili. Non avremmo preso questa decisione se non avessimo pensato che avrebbe rafforzato la nostra sicurezza nazionale”, ha affermato invece la capa del governo finlandese Sanna Marin.
Così, se alla vigilia dell’invasione Putin puntava a disgregare la Nato e l’Unione europea giocando sulle loro divisioni interne, a due mesi e mezzo circa da quella che ha definito “operazione speciale” rischia di rimanere vittima di un effetto boomerang che aumenta l’accerchiamento della Russia ai suoi confini occidentali. “I confini della Nato si estenderanno alla periferia di San Pietroburgo. Benvenuto nella nuova realtà, signor Putin”, ha ironizzato Mikhailo Podoliak, il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Le radici storiche del non allineamento, o meglio dell’allineamento parziale dei due Paesi sono diverse. La coesistenza con il potente vicino da parte della Finlandia trovò una dimensione più stabile con la firma nel 1948 del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con l’allora Unione Sovietica, in vigore fino al suo crollo nel 1991. La clausola chiave era che nessuno dei firmatari avrebbe fatto parte di una alleanza diretta contro l’altro. La neutralità in politica estera era un punto fermo di Helsinki al punto che stabilì accordi economici simmetrici con i due blocchi almeno fino agli anni Ottanta, quando divenne membro dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), nel 1986. L’accelerazione arrivò con la caduta del Muro di Berlino: il Trattato di amicizia si trasformò nel 1992 in Accordo di buon vicinato con la Russia e nello stesso anno Helsinki chiese l’adesione all’Unione europea che fu formalizzata nel 1995. La neutralità divenne “non allineamento militare”.
La Svezia invece, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, era neutrale da più di un secolo, dalla fine delle guerre napoleoniche, e non prese parte al conflitto anche se nella prima fase concesse alcune facilitazioni logistiche alla Germania e in seguito, a partire dal 1944, agli Alleati. Una posizione ribadita nel 1949 quando Stoccolma si rifiutò di entrare nella Nato. Secondo il diritto internazionale, la Svezia è stata impegnata finora in una “neutralità convenzionale” e quindi non in una neutralità permanente. Come membro dell’Unione europea è anch’essa tra i promotori di un’intensificazione della politica di difesa e sicurezza e le truppe svedesi – assieme a quelle finlandesi, norvegesi, estoni e irlandesi – partecipano al battaglione nordico per la gestione delle crisi. A partire dal 2015, a seguito dell’attivismo militare russo, Stoccolma ha però aumentato le spese militari e rafforzato il dispositivo a difesa della strategica isola di Gotland, nel mar Baltico.