Secondo i calcoli del Global Footprint Network, se tutto il mondo consumasse quanto noi avremmo esaurito proprio oggi tutte le risorse che il pianeta riesce a rigenerare nel corso di un anno. Il nostro Paese è l'ottavo al mondo tra quelli che consumano di più. Davanti ci sono, tra gli altri, Stati Uniti, Francia e Germania
Le risorse naturali dell’Italia sono virtualmente finite. Oggi è il nostro Country Overshoot Day 2022, cioè il giorno in cui, se tutto il mondo consumasse come l’Italia, avremmo esaurito ciò che la Terra riesce a rigenerare in dodici mesi. Da ora fino a dicembre – secondo il Global Footprint Network – dovremo quindi forzare i limiti dei nostri ecosistemi, contribuendo ad esaurirli per le prossime generazioni. La data cade due giorni più tardi rispetto al 2021, quando era stata il 13 maggio. Ma c’è poco di cui essere contenti. Al ritmo attuale, gli italiani, da soli, avrebbero bisogno di 2,7 pianeti per sostenere il proprio stile di vita.
Per invertire la tendenza però non basta diminuire i consumi: “Il sovrasfruttamento è cumulativo – spiega il biologo Lorenzo Masini, da tre anni attivista di Extinction Rebellion Torino e da qualche mese del movimento di ribellione degli scienziati ambientalisti, Scientist Rebellion – Come per le emissioni di Co2, si sommano tutti i superamenti dei decenni precedenti”. Quindi “per recuperare e permettere alla terra di compensare le risorse naturali, dovremmo andare per qualche anno in negativo”. Evitare l’Overshoot per un anno “significa solo far slittare nel tempo una soglia oltre la quale vivremo una situazione catastrofica”.
Alimentazione, edilizia, agricoltura, allevamento, emissioni, ma anche energia e gestione delle città e delle foreste. Sono questi i fattori che influiscono, per ciascuno Stato, sul Giorno dello sforamento o sovrasfruttamento terrestre. In particolare, il think thank internazionale Global Footprint Network ogni anno calcola l’impronta ecologica degli abitanti. Si tratta del rapporto tra la biocapacità – cioè l’insieme delle superfici terrestri e acquatiche biologicamente produttive utilizzate – e la capacità degli ecosistemi di rigenerarle. Quella dell’Italia è di 4,32 Gha (ettari globali).
C’è un lieve miglioramento rispetto ai picchi di inizio 2000, prima della crisi del 2008, quando il rapporto tra i nostri consumi e la biocapacità era di più di 5:1. Ma la situazione è comunque critica. Oggi avremmo bisogno di 5,3 Italia per soddisfare la nostra domanda di beni naturali. Peggio solo il Giappone, a 7,9. Per molti attivisti però la misurazione non è equa: “L’impronta carbonica è stata inventata dai giganti del fossile negli Anni Settanta – spiega Masini – Ma tende a farci focalizzare sulle responsabilità del singolo e non su quelle delle multinazionali e dei grandi emettitori”, che possono avere un impatto effettivo nel limitare l’esaurimento delle risorse naturali. Il 61% dell’impronta ecologica dell’umanità infatti è causata dalle emissioni dell’industria di petrolio e gas. “Il mio impegno e la mia parte di emissioni come singolo sono irrisore rispetto alle azioni di chi magari usa il jet tutti i giorni o alle industrie” afferma ancora il biologo.
L’Overshoot day però fornisce un’immagine chiara del divario tra le popolazioni del mondo. Negli ultimi cinquant’anni – mostra una ricerca pubblicata su The Lancet – i Paesi ricchi hanno consumato il 74% delle risorse del pianeta, quelli a reddito medio-basso meno dell’1%. Il restante 25% è invece attribuito ai Paesi a reddito medio-alto. L’Italia è all’ottavo posto nella classifica mondiale, dietro a molte delle più forti economie occidentali, come Francia, Germania e Usa: ha esaurito infatti 31,5 miliardi di tonnellate di beni in eccesso, il 3% di quelle disponibili a livello globale. Un dato impressionante se lo si mette a confronto con il Sud della Terra che in totale ne ha consumate poco più del doppio. Una situazione simile si vede con la soglia di sovrasfruttamento annuale. “Alcuni non la raggiungeranno mai – come il Bangladesh o il Camerun -, altri ci arriveranno quasi alla fine dell’anno. Altri lo hanno avuto a marzo”. I primi sono stati Qatar (10 febbraio) – complice sia l’abbondanza di terre desertiche, quindi poco produttive, sia i grandi investimenti nelle infrastrutture per i Mondiali di calcio del prossimo inverno – e Lussemburgo (14 febbraio). La data per gli Stati Uniti (8,1 Gha di impronta carbonica) e il Canada (8,2 Gha) è stata il 13 marzo: i due Paesi per alimentare lo stile di vita dei suoi cittadini necessiterebbero rispettivamente di 5,1 Terre. Altri giganti come Australia e Russia hanno esaurito le loro risorse tra fine marzo e inizio aprile, mentre la Cina lo farà il 2 giugno. Questo mese – secondo il Network – saranno 29 i Paesi a superare la soglia di sfruttamento. Oppure 28 se non si include l’Unione uropea nel suo totale. Se tutti consumassero a questo ritmo “avremmo bisogno di 1,75 terre” continua Masini.
Nel 1971 l’Overshoot day terrestre era caduto il 29 dicembre, l’equilibrio terrestre allora era ancora sostenibile. La globalizzazione però ha portato la soglia gradualmente sempre più indietro. L’anno scorso la giornata fatidica è stata il 29 luglio. Mentre per scoprire quella del 2022, dovremo aspettare il 5 giugno, la Giornata mondiale dell’Ambiente. “La realtà però potrebbe essere peggio delle stime – spiega Masini – Mancano dei dati e alcuni parametri non vengono considerati”. Tra questi, secondo il biologo, quello dei servizi ecosistemici. “Alcune componenti degli ecosistemi se prese singolarmente hanno certe proprietà. Ma prese insieme fanno emergere delle caratteristiche nuove, utili a noi – spiega il biologo – I canneti a bordo dei corsi d’acqua, per esempio, sono in grado di depurarla da fertilizzanti, collaborando con alcuni batteri del suolo”. Se poi si guarda alla biodiversità, per mantenere inalterati gli equilibri delle varie specie, nonostante i consumi attuali, “avremmo bisogno di 3 Terre”. In generale, per invertire la tendenza però non basta solo agire individualmente sul proprio stile di vita: “Ultimamente al posto dell’impronta ecologica, noi consideriamo l’ombra ecologica – spiega l’attivista di Extinction Rebellion – Ciò significa che, per rappresentare il nostro impatto sull’ambiente, non contano solo i parametri misurabili, come quanti chilometri fai con la macchina, ma anche ciò che proiettiamo all’esterno. Se vai in bici al lavoro, ma fai marketing per una compagnia petrolifera, stai diminuendo la tua impronta ecologica, ma hai un’ombra molto più grande”.