Per lanciare l’arma fine di mondo la magistratura italiana ha scelto Milano. E non ha portato bene. Dal palazzo di Giustizia simbolo di Tangentopoli il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Giuseppe Santalucia ha presentato lo sciopero contro la riforma dell’ordinamento giudiziario della ministra Marta Cartabia, approvata alla Camera e ora in discussione al Senato. Una misura estrema che l’Anm non metteva in campo dal 1° luglio 2010, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, deliberata a maggioranza bulgara dagli iscritti ma nonostante ciò, già dal mattino, accompagnata da timori striscianti di una bassa adesione. Che saranno confermati dai dati diffusi nel pomeriggio e confermati a sera. A incrociare le braccia infatti è meno della metà degli iscritti al sindacato, 4.285 su 8.844, il 48,4%: un dato imparagonabile all’85% che scioperò 12 anni fa. Con alcune situazioni locali sconfortanti, come quella di Trento, dove sciopera solo il 25% (30 su 121) o della Corte di Cassazione, inchiodata al 23% (102 su 449). Delude col 38% anche il distretto di Roma (579 su 929), mentre quello di Milano è leggermente sopra la media con il 51%, 358 magistrati su 703: dato comunque più basso di quasi trenta punti rispetto al 78% del 2010. E la distanza diventa una voragine considerando il Tribunale del capoluogo, teatro dell’assemblea principale dell’Anm, che si ferma al 36% (91 toghe su 250) contro il 92% del 2010. “In altri momenti le motivazioni erano state più forti“, aveva ammesso fuori dall’aula magna il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. “Io ho aderito – spiega – e spero che la partecipazione sia alta, perché è un periodo in cui mi sembra che ci sia un’aria sbagliata nei confronti dei magistrati. Penso che questa di oggi sia un’iniziativa importante”.
I dati parziali: adesione lontana dalle attese – Per parlare di non-fallimento, era l’opinione comune, sarebbe servita un’adesione almeno dell’80%, cioè paragonabile a quella del 2010. A SkyTg24,nel pomeriggio, il presidente dell’Anm ipotizza un calo contenuto: “Ai dati che ho io, e stanno ancora arrivando, l’adesione allo sciopero è di poco più del 60%, 63-65%, a livello nazionale”, dice. Ma una dopo l’altra le comunicazioni dai distretti lo smentiscono: per prima, poco dopo le 14 (il termine per comunicare l’adesione era alle 11), la presidente della giunta Anm dell’Abruzzo Roberta D’Avolio comunica che hanno scioperato in 69 iscritti su 182 (il 38%). Poi arriva Palermo, dove il dato è del 58% (238 su 407): “Forse si ritiene che non saremmo ascoltati e si ritiene lo sciopero inutile. Per noi è uno sciopero sofferto, tanto è vero che continuiamo a lavorare, ma era l’unico modo per tentare di fare sentire le nostre proposte”, riflette con l’AdnKronos la presidente locale, Clelia Maltese. Nel distretto di Genova (che comprende l’intera Liguria e la provincia di Massa-Carrara) ci si ferma al 49%, in quello di Torino al 34% (anche se nel capoluogo la percentuale raddoppia al 70%). Nel distretto della Toscana (Corte d’Appello di Firenze) a scioperare sono in 176 su 441, il 40%. A Reggio Calabria si ferma il 52%, a Napoli il 53% (con un record del 90% a Nola), a Cagliari il 39%, a Perugia il 50%, a Trieste il 47,46%, a Catanzaro il 45%, a Venezia il 47%. Sotto il 40% anche il dato di Messina (34%), mentre le quote più alte si raggiungono a Catania (65%), Brescia (65,44%) e Ancona (63,42%).
L’Anm: “Dato importante in un contesto non facile” – “In un contesto generale non facile, c’è stato un livello di adesione all’astensione intorno al 50%, comunque importante. Il che dimostra come l’Anm si sia fatta interprete autorevole del disagio e della preoccupazione reale di tanti magistrati.”, commenta il segretario generale del sindacato delle toghe, Salvatore Casciaro. “È una protesta di contenuti, motivata e capillare, che viene dal basso, intendo dire dai piccoli uffici giudiziari, quelli più esposti sul piano dei carichi di lavoro, e, elemento da sottolineare, dai giovani magistrati che intravedono nelle linee di riforma una mortificazione della loro funzione, e soprattutto un cuneo in grado di incrinare, in prospettiva futura, l’assetto costituzionale della giurisdizione e la qualità del loro lavoro giudiziario. Il buonsenso, soprattutto in una fase in cui si chiede uno sforzo corale al mondo della giustizia per corrispondere ai target del Pnrr, dovrebbe orientare le forze politiche all’ascolto delle ragioni profonde di questa protesta. Ci sono ancora i tempi e gli spazi per modifiche migliorative del testo e spero ci sia anche la volontà delle forze politiche di confrontarsi per apportare i dovuti correttivi”. Anche il segretario della corrente progressisti di Area, Eugenio Albamonte, cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: “Tutto sommato, in considerazione anche della grande campagna che è stata fatta contro lo sciopero dei magistrati direi che è un dato comunque significativo”. Mentre esulta il deputato di Azione Enrico Costa. il “falco anti-pm” ispiratore di molti contenuti della riforma: “Lo sciopero si è rivelato un prevedibile flop, ora il Parlamento vada avanti senza indugio”.
“Così si incentiva il carrierismo” – Nell’assemblea a Milano, il presidente del sindacato si era sforzato di trasmettere ottimismo. “In molti, fino a ieri, parlavano di un flop sicuro. Invece le assemblee convocate nei palazzi di Giustizia di tutta Italia sono tantissime, e questo è il vero successo. Poi vedremo le astensioni”, esordisce di fronte a una platea di una cinquantina di persone tra colleghi, avvocati e giornalisti. “Ci siamo assunti la responsabilità di proclamare uno sciopero anche quando tutti sperano che fallisca, mettendoci in gioco, perché non è questa la strada per riformare la giustizia. La riforma – dice ci preoccupa, come cittadini e come operatori della giustizia. Sappiamo che è una delle stagioni meno felici per la credibilità della magistratura, e siamo consapevoli che per superarla dobbiamo impegnarci individualmente. Ma speravamo che per combattere il correntismo si cambiasse direzione rispetto alle passate scelte dei ministri Castelli e Mastella, smettendo di incentivare le perversioni del carrierismo. Invece si è andati nella direzione opposta”, ha detto il presidente Anm. Il riferimento è al “fascicolo sulla performance” che conterrà i dati sulla produttività del magistrato e sulle conferme dei provvedimenti nei successivi gradi di giudizio (per i pm quelli sulle condanne ottenute e l’accoglimento delle misure cautelari) e che dovrà essere tenuto in considerazione dal Csm nell’emettere le valutazioni di professionalità delle toghe. Una novità, questa, che non compariva nella riforma licenziata dal Consiglio dei ministri a febbraio, ma è stata introdotta nel confronto successivo con i partiti su iniziativa di Costa.
“Stop ai sentimenti di rivalsa verso le toghe” – “Pensavamo, forse ingenuamente, che l’approvazione della legge in Cdm significasse che quella era la linea del governo. Invece la maggioranza parlamentare ha introdotto modifiche tutte peggiorative, ed è contro queste scioperiamo”, attacca Santalucia. Ma, dice, “continuiamo a sperare che ci possano essere miglioramenti. Bisogna fare lo sforzo di mettere da parte sentimenti di rivalsa nei confronti della magistratura che albergano in una certa parte della politica. “Gli obiettivi sfidanti posti dal Pnrr (taglio del 40% dell’arretrato nel civile e del 25% nel penale, ndr) non si possono raggiungere considerando i magistrati i primi responsabili di guasti, da controllare disciplinarmente. Non si può abbattere l’arretrato utilizzando in maniera sconsiderata e irragionevole la leva delle sanzioni disciplinari o gerarchizzando gli uffici”, prosegue il presidente del sindacato. Anche per il procuratore aggiunto Romanelli “prendersela con i magistrati non doveva essere la priorità in questo momento”.
“Separazione funzioni? Scelta sciagurata” – Il contenuto della riforma che più scontenta le toghe, però, è la separazione di fatto delle carriere di giudici e pm, un vecchio cavallo di battaglia berlusconiano: i magistrati potranno passare da una funzione all’altra una sola volta ed entro i primi dieci anni di carriera. Secondo Santalucia è “un modo per eludere il dettato costituzionale“, che parla di un unico ordine giudiziario: “Un pm che sa cosa significa valutare la prova è un pm più attrezzato, capace di dare una risposta di giustizia migliore”. Per il giudice penale Andrea Ghinetti, che interviene per primo all’assemblea aperta di Milano, “si vorrebbe separare il pm dal giudice per creare tra di loro la stessa distanza mentale e culturale che c’è tra il giudice e l’avvocato: pm e giudice non dovrebbero più considerarsi colleghi tra loro. Peccato che lo scopo del pubblico ministero è lo stesso identico del giudice: cercare la verità, trovare i responsabili e chiedere che sia irrogata la giusta sanzione. Mentre lo scopo dell’avvocato è quello di difendere il suo cliente. È una riforma sciagurata“, attacca, “e non siamo gli unici a dirlo: anche il Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di garantire una certa osmosi tra le funzioni. Ora avviene molto più di rado, ma chi ha fatto entrambi i mestieri è in grado di capire meglio e vedere meglio”.
“Intollerabile il bavaglio disciplinare” – Poi ci sono le nuove sanzioni disciplinari per chi viola la legge sulla presunzione d’innocenza, che limita la possibilità per i pm di comunicare con i giornalisti. “Si potrà punire il procuratore della Repubblica che indice una conferenza stampa ritenendo sussistente l’interesse pubblico”, avverte Santalucia. “È intollerabile che il titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) possa sindacare ex post se ci fosse o meno quell’interesse. È un modo per inibire il rapporto corretto e doveroso tra magistrati inquirenti e stampa. Si è introdotta questa norma senza riflettere, e se rimarrà causerà più guasti dei problemi che vorrebbe risolvere”. Parlando con i cronisti, infine, il giudice ribadice la contrarietà del sindacato ai referendum sulla giustizia di marca radical-leghista che si voteranno il 12 giugno. E in particolare a quello che vorrebbe abolire la legge Severino, “la prima grande risposta alla piaga della corruzione in Italia”, dice ricordando le inchieste di Tangentopoli nate proprio in questi corridoi.
Il gip Salvini: “Io non sciopero, riforma positiva” – A palazzo di Giustizia però ha parlato anche chi ha deciso di non aderire, come il gip Guido Salvini, celebre giudice istruttore del processo sulla strage di piazza Fontana: alla porta del suo ufficio al settimo piano ha appeso un foglio in cui specifica di essere presente e al lavoro. “Ho avuto la sensazione di uno sciopero “inventato“, quasi nella speranza di fare dimenticare i guasti all’interno della magistratura, che sono emersi in questi anni, e di una iniziativa a cui molti possono aver aderito senza il minimo entusiasmo, ma solo per conformismo nei confronti delle correnti ben sapendo che da loro dipende la vita di ogni magistrato”, è la sua netta opinione. “La riforma Cartabia ha costituito uno sforzo che ha prodotto miglioramenti positivi, come quelli in tema di porte girevoli tra magistratura e politica, e un accordo ragionevole sul mutamento di funzioni con un unico spostamento, come è opportuno consentire nei primi anni della professione”, dice. “Non credo poi che i magistrati debbano spaventarsi dinanzi alla previsione di valutazioni più serie, perché non è certo l’annullamento di qualche provvedimento che porterà a valutazioni negative che peraltro sono di competenza di altri magistrati e non certo del ministro o del governo”, spiega a proposito del fascicolo sulla performance.