Se fossi uno scommettitore, come il grande Nicola Arigliano nella vecchia pubblicità del digestivo Antonetto che si può prendere anche in tram, scommetterei che la prossima Miss Mondo sarà ucraina. Me lo fa pensare la vittoria della Kalush Orchestra all’Eurofestival torinese 2022, da tempo prevista (al 49%) dagli allibratori, gente che la sa lunga. Un trionfo che è stato anche il segnale, o meglio la conferma se mai ce ne fosse stato bisogno, che le competizioni canore non puntano più sulla musica, o meglio sugli elementi strettamente musicali di un brano, ma su ciò che quel brano comunica in quel preciso momento storico, il tutto condito da coreografie e scenografie costruite per far accettare, anche in modo subliminale, quel messaggio e che, come nel mitico film Blob-Il fluido mortale (’58) di Yeaworth junior, travolgono le note, le inghiottono in una mostruosa gelatina, assimilandole e infine uccidendole e, quando va bene, rendendole semplici elementi di supporto.

Chiaro che guerra che sta massacrando la innocente popolazione ucraina, nonché i ragazzi russi mandati a morire, abbiano (anche giustamente) condizionato le capacità valutative non tanto della giuria quanto del pubblico del televoto (solo in Italia la finale è stata vista da 6,6 milioni di persone!). Onde il trionfo della band guidata da Oleh Psiuk con una sua canzone, ma sarebbe meglio definirla un mix di hip-hop e folklore locale. Kalush è una cittadina alle falde dei Carpazi dove Psiuk è nato: inizialmente aveva dedicato il brano alla mamma Stefania (con l’accento sulla i), e oggi puntato sul tema delle atrocità belliche.

Ho tentato invano di reperire in rete recensioni sul valore o non-valore musicale del brano ucraino, ma ho trovato il vuoto assoluto: si parla, anche semanticamente (da parte dei recensori più colti) di significati e significanti del testo; della immediata partenza di Psiuk per la guerra, dopo un bacio al volo alla fidanzata (da parte dei più propensi al gossip); degli sbandieramenti gialloblu del pubblico osannante dopo l’esibizione della Kalush Orchestra (da parte dei più portati alla celebrazione dell’eroismo, confutando Bertolt Brecht che scriveva “beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”); dei messaggi entusiastici di congratulazioni (da parte dei politici): dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (“Stanotte la tua canzone ha conquistato il nostro cuore. Celebriamo la tua vittoria in tutto il mondo. L’Ue è con te”) all”Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri Josep Borrell (“Lunga vita alla musica! Viva l’Europa! Gloria all’Ucraina!”); fino al presidente del Consiglio europeo Charles Michel che ha persino citato versi tratti da Stefania (“Troverò sempre la strada di casa, anche se tutte le strade sono distrutte”).

Il video di Stefania è invece molto più avvincente e coinvolgente rispetto alla mediocre esibizione sul palco: è girato, infatti, fra le rovine delle città ucraine più martoriate dalle bombe (Borodyanka, Irpin, Bucha e Gostomel). La grande assente, però, anche qui, resta proprio la musica. È un po’ come quando certi critici cinematografici ti raccontano, nelle loro ‘recensioni’, la trama del film, ignorando totalmente quello che negli anni 70 si definiva ‘lo specifico filmico’.

L’Ucraina aveva già vinto due volte l’Eurofestival (nel 2004 con Wild Dances di Ruslana e nel 2016 con 1944, eseguita da Jamala, e anche in quel caso il testo si richiamava all’occupazione russa, ma entrambe le canzoni erano musicalmente una spanna sopra Stefania). Come pure musicalmente una spanna (e anche due o tre…) sopra Stefania è il brano Shadows of Forgotten Ancestors (Ombre di antenati dimenticati) di Alina Pash, ritiratasi dall’Eurovision di quest’anno a causa delle polemiche dovute a un suo viaggio in Crimea (nel 2015!) quando era già stata annessa, pur informalmente, alla Russia – che ovviamente non ha partecipato alla manifestazione ospitata quest’anno da Torino. Proprio la Pash, accusata anche di essersi mostrata in pubblico con una giacca i cui colori ricordavano vagamente quelli della bandiera russa, aveva vinto le preselezioni per l’Eurofestival 2022 dove avrebbe dovuto rappresentare l’Ucraina. “Sono una ragazza ucraina. Parlo ucraino e la mia canzone parla dell’Ucraina. Non posso essere contro l’Ucraina. Abbiamo già tanti problemi. La pandemia è uno di questi e continua ad esserlo. Abbiamo bisogno anche di una guerra? Davvero? Non abbiamo bisogno di una guerra”, aveva dichiarato. Ed è stata sostituita dalla Kalush Orchestra. Shadows of Forgotten Ancestors è un brano particolarmente suggestivo sulle comunità etniche dell’Ucraina e sulla necessità di non dimenticare i propri valori e le proprie tradizioni. Pash canta (meravigliosamente) imitando anche il cinguettio degli uccelli, regalandoci un brano dalla musicalità vagamente arcaica ma, allo stesso tempo, un po’ new age: note splendidamente condite dalla splendida voce di Pash che si presenta, nei suoi video, con i costumi tipici del proprio Paese e cita Dumas, Dante, Shakespeare, Picasso e i fratelli Grimm. Tutt’altro rispetto alla modesta Stefania. Ma è andata così.

La rivista Political (riguardo però all’Eurovision 2016, vinta, come ho già detto, da un’ucraina, Jamala) analizzò, su un campione di 600 persone, le ragioni più profonde del televoto: “Solo il 25% ha votato per il gusto o la qualità delle canzoni. Un altro 25% si è lasciato travolgere dalla psicologia e ha votato il cavallo vincente (per la canzone preferita), perché si è sempre più calorosi quando si va con la corrente. Infine, il 37% ha votato per ragioni culturali o geopolitiche (in senso lato): ha votato cantanti con cui condivideva etnia, lingua o vicinanza geografica”. Ricordate il monologo del povero muratore Calzinazz in Amarcord (’73) di Fellini? “Mio nonno fava i matoni, mio babbo fava i matoni, favo i matoni anca me, ma la casa mia ‘ndov’è?”. E, riguardo all’Eurofestival: ma la musica ‘ndov’è?

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