Nel provvedimento di oltre 20 pagine inviato alla Corte d’assise che dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di Ilva in As, i pubblici ministeri hanno elencato una serie di elementi per i quali i sei reparti dell’area a caldo non potranno essere dissequestrati. In caso di rigetto potrebbe essere pregiudicare anche il passaggio di Acciaierie d’Italia nelle mani dello Stato. Tra le clausole c'era la revoca di tutti i sequestri
L’ex Ilva non è ancora una fabbrica sicura e quindi deve rimanere sotto sequestro. È quanto hanno sostanzialmente affermato i magistrati della procura di Taranto nel documento con il quale hanno espresso parere negativo all’istanza di dissequestro degli impianti chiesta il 31 marzo scorso dagli avvocati della struttura commissariale. Nel provvedimento di oltre 20 pagine inviato alla Corte d’assise che dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di Ilva in As, i pubblici ministeri che hanno seguito il maxi processo Ambiente svenduto hanno elencato una serie di elementi per i quali i sei reparti dell’area a caldo non potranno essere dissequestrati.
Elementi che hanno spinto gli inquirenti a ritenere inaccettabile la richiesta di Ilva in As e che, in caso di un eventuale rigetto della Corte d’assise, potrebbe pregiudicare anche il passaggio di Acciaierie d’Italia nelle mani dello Stato. A fine maggio Invitalia dovrebbe versare i 600 milioni di euro che permetterebbero di detenere il 60 percento delle quote della newco e la revoca di tutti sequestri in atto era una delle condizioni poste nel contratto tra Invitalia e ArcelorMittal, multinazionale dell’acciaio che gestisce la fabbrica da novembre 2018.
Gli impianti dell’area a caldo, com’è noto, furono sequestrati il 26 luglio 2012 dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Per l’accusa, poi confermata con la sentenza di primo grado di cui si attendono le motivazioni, quegli impianti diffondevano “malattia e morte” tra operai e cittadini. I giudici, togati e popolari, inflissero oltre 270 di carcere agli ex proprietari della fabbrica, a manager e politici e imposero anche la confisca degli impianti.
Per i commissari di Ilva in As però, da quel giorno di maggio 2021, la fabbrica è cambiata del tutto al punto che secondo i legali Angelo Loreto e Filippo Dinacci “non sussistono i presupposti di una prognosi di pericolosità concreta ed attuale, idonea a giustificare il mantenimento” del sequestro. Lo stabilimento siderurgico di Taranto, insomma, secondo la struttura commissariale non è più un pericolo: non ci sono più i Riva, il 90 percento delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale è stato eseguito e soprattutto l’acciaieria è sottoposta a “un regime di verifiche e controlli che mai era stato applicato in precedenza nella sua storia pluridecennale”. Per Ilva in As, quindi, “non è emersa – si legge nell’istanza – alcuna criticità paragonabile ai fenomeni emissivi” contestati nel maxi processo e inoltre “non sono neppure affiorati segnali di rischio di ripresentazione di fenomeni dannosi o pericolosi”. Per la procura, evidentemente le cose non stanno così, ma ora saranno i giudici della Corte d’assise a dover emettere un verdetto.