Nel Qatar che tra sei mesi ospiterà i mondiali di calcio succede che chi cerca di migliorare la situazione dei diritti umani per mostrare al mondo un paese migliore venga condannato all’ergastolo.
Il 10 maggio, al termine di un processo a porte chiuse, un tribunale di primo grado della capitale Doha ha emesso tre condanne al carcere a vita nei confronti di due avvocati e di un attivista. Un quarto imputato ha ricevuto una condanna a 15 anni. All’origine del processo c’è la legge n. 6 del 2021, firmata dall’emiro Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani il 29 luglio scorso, che regolamenta l’elezione del consiglio della Shura. Si tratta di un organismo insieme consultivo e legislativo, composto da 45 seggi di cui ora 30 elettivi e gli altri 15 nominati direttamente dall’emiro.
La prima elezione per i 30 seggi a disposizione si è svolta a ottobre. Ma prima del voto, la promulgazione della legge aveva scatenato le proteste della tribù al Murra, i cui esponenti non hanno potuto candidarsi né votare in quanto l’elettorato attivo e passivo è riconosciuto solo ai discendenti dei residenti già cittadini nel 1930, secondo un sistema di divisioni delle tribù elaborato un secolo fa dai britannici. Da quel sistema, gli al Murra sono stati esclusi perché, originari dell’Arabia Saudita, sono stati naturalizzati dopo.
Il provvedimento è stato vissuto come l’ennesimo atto persecutorio nei confronti di questa tribù semi-nomade, che da tempo è discriminata per quanto riguarda l’accesso all’istruzione, al lavoro e alle cure mediche. I quattro attivisti che hanno preso le difese, anche sul piano legale, degli al Murra sono stati giudicati colpevoli dei seguenti “reati”: contestazione di una legge ratificata dall’emiro, minaccia all’emiro tramite i social media, minaccia all’indipendenza dello stato, organizzazione di raduni pubblici non autorizzati e violazione online dei valori sociali.