La parola ‘fine’ sulla resistenza all’interno delle acciaierie Azovstal l’ha messa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Le settimane di isolamento tra gli hangar e i rifugi sotterranei del complesso, senza accesso a rifornimenti di cibo, acqua e munizioni, con decine di feriti a rischio della vita ogni giorno che passa e cadaveri ancora da seppellire avrebbero reso quella nell’industria una lenta ma inesorabile carneficina. “La resa non è contemplata”, avevano più volte dichiarato i comandanti del battaglione Azov, ma a chiudere la questione è stato il capo dello Stato: “Speriamo di poter salvare i nostri ragazzi” perché l’Ucraina “ha bisogno di eroi vivi e penso che ogni persona giudiziosa capirà queste parole” che, però, sanciscono la resa della resistenza all’interno delle acciaierie. Solo che di questi “eroi”, stando alle dichiarazioni che arrivano da Mosca, nessuno tornerà a casa, almeno nell’immediato.
Il primo a parlare è stato, in mattinata, il presidente della Duma russa, Vyacheslav Volodin, secondo cui “i criminali nazisti non dovrebbero essere scambiati, ma processati. Si tratta di criminali di guerra, dovremmo fare di tutto per garantire che vengano processati”. Quella che sembra una bollinatura definitiva è arrivata anche dal Cremlino: i combattenti dell’acciaieria Azovstal di Mariupol saranno trattati in linea con le “leggi internazionali”, ha dichiarato il portavoce Dmitry Peskov alla Bbc pur non specificando se questi saranno considerati criminali o prigionieri di guerra. Ciò che al momento sembra fuori discussione è che i militari, tra cui i membri del battaglione Azov, e i volontari filo-ucraini che finiranno nelle mani di Mosca possano essere oggetto di scambio di prigionieri. Un’ipotesi che tradirebbe il mantra putiniano della denazificazione dell’Ucraina, dato che proprio i miliziani di Azov sono stati più volte presi ad esempio per giustificare, almeno dal punto di vista di Mosca, un’invasione pensata e attuata anche per sconfiggere l’estremismo di destra che in Donbass ha sottomesso e perseguitato la popolazione filo-russa. Non a caso il procuratore generale russo ha chiesto alla Corte suprema di riconoscere il reggimento ucraino Azov come “organizzazione terroristica”.
Le intenzioni della Duma sono apparse più chiare nella serata di martedì, quando è stato annunciato che mercoledì sarà esaminata una bozza di risoluzione che vieta lo scambio dei militari evacuati. E il Presidente della Commissione Esteri, Leonid Slutsky, propone addirittura che sia sollevata parzialmente la moratoria contro la pena di morte che, a suo dire, dovrà essere considerata per gli elementi del battaglione di Azov che hanno resistito fino a ieri negli impianti della Azovstal e portati in territorio russo. “Se saranno dimostrati i loro mostruosi crimini contro l’umanità, ribadisco la mia proposta per fare un’eccezione alla moratoria alla pena di morte in Russia che consenta a un tribunale di considerare questa possibilità”, ha affermato.
I numeri parlano di 52 feriti già evacuati, con la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, convinta che, “dopo che le loro condizioni si saranno stabilizzate, li scambieremo con prigionieri di guerra russi”. E aggiunge: “Continua l’operazione umanitaria ad Azovstal. Stiamo lavorando alle prossime fasi dell’operazione. Se Dio vuole, tutto andrà bene” anche per gli altri 2mila circa che si trovano ancora all’interno del complesso.
Nessuno, a Kiev e tra i combattenti, vuol parlare di resa, e lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, in un comunicato, cerca di rendere l’evidenza meno dura da digerire. “La guarnigione di Mariupol – si legge – ha compiuto la sua missione di combattimento, il comando militare supremo ha ordinato ai comandanti delle unità di stanza ad Azovstal di salvare le vite dei combattenti”. Chi invece esulta sono i miliziani dell’autoproclamata repubblica Popolare di Donetsk: “Oltre 250 militari ucraini, tra cui 51 feriti provenienti dall’acciaieria Azovstal di Mariupol, si sono arresi“.