Ora che la vicenda dell’Azovstal è arrivata a un importantissimo punto di svolta, è raccontata dal vice comandante dell’Azov Sviatoslav Palamar. Ha scelto una data importante, a bella posta: il 15 maggio, la Giornata mondiale della famiglia. Parla di una “famiglia di difensori”, spiega che la loro militanza del battaglione era cosa antica, fin quasi dalla sua nascita
In pochi giorni un neonato è rimasto orfano. Mamma e papà si erano sposati dentro l’acciaieria di Azovstal durante il lunghissimo assedio del battaglione asserragliato nell’impianto di Mariupol. Sono morti entrambi. Lui, Vitaly, è morto il 15 aprile in una fase del combattimento. Lei, Alla Tanarov, è una delle vittime del bombardamento dell’8 maggio: un diluvio di bombe russe sul complesso siderurgico. Dopo l’invasione dell’Ucraina, avevano deciso di celebrare il loro amore. Comunque. Anche sotto i bombardamenti. Anche da rifugiati tre metri sotto terra, senza cibo, nell’oscurità, con i boati dall’esterno delle continue esplosioni. Per loro ha rappresentato il modo per rinsaldare il legame tra le macerie della guerra. Per provare a ritagliarsi almeno qualche istante di felicità. Ma è una storia senza lieto fine. Ora che la vicenda dell’Azovstal è arrivata a un importantissimo punto di svolta, è raccontata dal vice comandante dell’Azov Sviatoslav Palamar. Ha scelto una data importante, a bella posta: il 15 maggio, la Giornata mondiale della famiglia. Parla di una “famiglia di difensori”, spiega che la loro militanza del battaglione era cosa antica, fin quasi dalla sua nascita. Racconta le loro esistenza: “La loro famiglia è nata qui e anche loro sono cresciuti qui. Anche il figlio è nato a Mariupol. Lei prima della guerra lavorava come parrucchiera, lui era un funzionario delle Finanze. Aveva la passione per il canto. Era una brava persona, si preoccupava sempre più degli altri che di se stesso”.
La narrazione si sovrappone alle ultime settimane dell’Azov. “Io e tutti i comandanti stiamo combattendo 24 ore su 24, non c’è nulla che abbiamo potuto fare per evitare la loro fine. Ma qui dentro, nell’acciaieria, sono nate tante famiglie. Molti si sono voluti sposare, mettendo in conto che poteva essere una delle ultime scelte della loro esistenza”. Ora che gli 82 giorni di assedio sembrano essere conclusi, le loro storie affiorano. E’ il Comune di Mariupol, la città quasi completamente distrutta nel conflitto, a renderle note sul suo canale Telegram. “Due eroi, tante tra le persone giovani e belle che hanno deciso di difendere la loro terra”.
Non è stata questa l’unica tragedia familiare. Pochi giorni dopo, quella di un’altra coppia convolata a nozze nei sotterranei dell’Azovstal: quella formata da Valeria Karpilenko e dal marito Andriy, ufficiale della guardia di frontiera vittima di un assalto nemico dopo solo tre giorni dalla cerimonia. Ma anche distante da Mariupol c’è chi ha deciso di sposarsi comunque, anche in una città devastata. E’ accaduto all’inizio di aprile. La foto ricordo non è stata scattata davanti a una torta tra invitati danzanti, ma fra le macerie di Kharkiv. Lei in abito bianco, con velo e bouquet ma scarponi da combattimento. Come quelli del marito, in impeccabile abito grigio scuro. Natya e Anton abbracciati sul tetto di un’auto distrutta dalle bombe, in una strada della loro città. Intorno distruzione, palazzi che cadono a pezzi, finestre sventrate. Ma loro sorridono.