Il governo aumenta dal 10 al 25% l'aliquota del contributo straordinario chiesto alle aziende che producono, vendono o distribuiscono energia elettrica, gas o prodotti petroliferi. Ma non modifica la base imponibile, che non è costituita dai profitti ma dal maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e 30 aprile 2022 rispetto al periodo ottobre 2020-aprile 2021. Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario all'università di Trieste: "Scelta non coerente con gli obiettivi dichiarati. L'aumento del valore aggiunto può benissimo non dipendere da un aumento dei prezzi di vendita"
La pubblicazione del decreto Aiuti in Gazzetta ufficiale non risolve i dubbi sul perimetro della cosiddetta “tassa sugli extraprofitti” delle aziende che producono, vendono o distribuiscono energia elettrica, gas o prodotti petroliferi. Per finanziare il bonus da 200 euro per lavoratori dipendenti, autonomi, disoccupati e beneficiari di reddito di cittadinanza il provvedimento aumenta dal 10 al 25% l’aliquota del contributo straordinario introdotto con il decreto Ucraina, ma non modifica (se non allungando il periodo considerato) la base imponibile. Che non è costituita da profitti, bensì dal maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e 30 aprile 2022 rispetto al periodo ottobre 2020-aprile 2021. Secondo gli addetti ai lavori si profila di conseguenza il rischio di incostituzionalità. E non mancano gli interrogativi sull’attendibilità delle previsioni di gettito messe a punto dal governo, che si attende un incasso di quasi 11 miliardi ipotizzando dunque una base imponibile di 44 miliardi.
Il presupposto della tassa straordinaria, per come l’ha presentata il premier Mario Draghi, è che fin dallo scorso autunno e in misura ancora maggiore dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia i gruppi energetici hanno realizzato grazie all’aumento dei prezzi della materia prima “profitti straordinari”. Questo, al netto dell’eventuale speculazione, dipende anche del meccanismo stesso che regola le quotazioni sul mercato all’ingrosso, quello del prezzo marginale: tutti i produttori ricevono, per l’energia prodotta, un compenso pari a quello necessario per remunerare chi produce con gli impianti alimentati dalla fonte più cara (in questo momento il gas). Il che gonfia le bollette e le ultime righe del conto economico delle aziende, soprattutto se hanno acquistato il gas con un contratto pluriennale a condizioni più vantaggiose rispetto al prezzo corrente.
Che in questa fase sia il caso di recuperare risorse per aiutare consumatori e imprese intervenendo in maniera “temporanea” ed “eccezionale” su quegli extraprofitti lo ha suggerito la Commissione europea nella comunicazione dell’8 marzo sul piano RePowerEU. Ma il punto è come Palazzo Chigi e il Tesoro hanno deciso di calcolare la base a cui applicare il prelievo. Che sarà “l’incremento del saldo tra operazioni attive e passive realizzato dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021”. “La disciplina deve essere coerente rispetto agli obiettivi dichiarati”, spiega Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario all’università di Trieste. “In questo caso invece si è affermato di voler tassare gli extraprofitti ma la disposizione non si applica nemmeno al profitto ordinario: l’aliquota graverà sull’incremento del valore aggiunto, che può benissimo non dipendere da un aumento dei prezzi di vendita bensì per esempio dall’acquisto di un ramo d’azienda o dal semplice aumento della quota di mercato. Non solo: quel saldo non tiene conto di oneri straordinari, perdite su crediti o altri oneri come le spese per i dipendenti”. Paradossalmente, l’aumento dei margini potrebbe essere positivo ma il risultato economico del periodo negativo. Un ulteriore rilievo è legato al fatto che il periodo preso come riferimento comprende gli ultimi mesi di lockdown, “quando consumi e prezzi erano depressi dalle restrizioni alla mobilità”.
“L’unica spiegazione”, continua Stevanato, “è che il governo abbia deciso di colpire una base su cui ha un controllo diretto, visto che le operazioni Iva le hanno a sistema. Ma un argomento pratico come questo non è sufficiente a rendere sensata la scelta”, fatta a marzo e ora ribadita aumentando di 15 punti l’aliquota. Secondo il giurista è sicuro che il provvedimento finirà davanti alla Consulta. “L’unico appiglio per difendere l’imposta, peraltro retroattiva, sarà la sua natura straordinaria. Forse contano su questo, o sul precedente del 2015 quando la Corte dichiarò incostituzionale la Robin tax del governo Berlusconi ma senza imporre il rimborso del gettito raccolto perché si sarebbe creato uno squilibrio di bilancio“.
Tornando ai numeri, il governo conta di ricavare dal contributo straordinario ben 10,8 miliardi (4,3 con la prima tranche del 40% che andrà pagata entro il 30 giugno, altri 6,5 da versare entro il 30 novembre) calcolando l’imponibile in quasi 44 miliardi. Un quinto rispetto ai 200 miliardi di “profitti inattesi” stimati dall’Agenzia internazionale per l’energia per i fornitori di energia da qualsiasi fonte in tutta l’Unione europea. Le previsione di impatto arrivate nelle ultime settimane dai principali attori del settore sono però molto conservative: Eni a fine marzo, quando l’aliquota era fissata al 10%, aveva diffuso stime preliminari in base alle quali l’importo massimo sarebbe ammontato ad “alcune centinaia di milioni di euro”, cifra che considerando l’incremento di aliquota potrebbe salire nell’intorno dei 500 milioni rappresentando di gran lunga il singolo maggiore esborso. A2a parlava di una cinquantina di milioni, Edison aveva calcolato in 100 milioni – che ora salgono a oltre 250 – l’esborso complessivo così come Enel, considerando anche il precedente intervento sugli extraprofitti da produzione di energia da rinnovabili.